Che in ambito militare i rapporti tra Movimento cinque stelle e Lega non siano dei più rosei, è cosa nota. Tanto che – corre voce nei corridoi ministeriali – la stessa posizione di Elisabetta Trenta è stata messa in discussione da più di qualcuno del Carroccio, a cominciare dallo stesso Matteo Salvini. Il risultato è che i tagli annunciati per il momento sono stati posticipati. A partire da quelli relativi alle missioni militari. Per il 2019, infatti, il governo gialloverde ha confermato l’intervento in Afghanistan e anche quello a protezione dei confini Nato.
Esattamente come fatto dagli esecutivi precedenti. E poi, ancora, Iraq, Palestina, Libia, Libano, Cipro, Kosovo. Per un totale di 7.343 unità militari impiegate, più ovviamente mezzi terrestri, aerei e navali. E una spesa complessiva di 1.130.481.331 euro. Al di là di piccoli finanziamenti del ministero dell’Economia (per quanto riguarda interventi della Guardia di Finanza) e del ministero dell’Interno (per le Forze di polizia), la fetta più grande è imputabile al ministero della Difesa: 1.100.835.456 euro, con una riduzione rispetto all’anno precedente di soli 7 milioni di euro. Poca cosa per chi, invece, si è posto come “governo del cambiamento” specie su questi fronti.
A questo punto entriamo nel dettaglio. E non si potrebbe che cominciare dall’Afghanistan. A gennaio il ministro Trenta aveva annunciato che entro un anno ci sarebbe stato il ritiro delle truppe italiane. Uno scenario per nulla presente nella relazione. Tanto che è stato confermato tutto il personale militare per un massimo di 800 unità, anche se si prevede una riduzione a 700 ma non prima della fine di luglio. Spesa totale: 159 milioni di euro, considerando anche i 145 mezzi terresti e gli 8 mezzi aerei impiegati.
I nostri soldati, in questo periodo profondamente delicato, saranno impegnati anche in Libia, sede – tra missioni Onu, Ue e missioni frutto di accordi bilaterali – di ben quattro operazioni, per una spesa di circa 50 milioni (e oltre 400 unità impiegate), cui si aggiunge una quinta operazione, relativa al “potenziamento del dispositivo aeronavale nazionale apprestato per la sorveglianza e la sicurezza dei confini nazionali nell’area del Mediterraneo centrale, denominato Mare Sicuro, comprensivo della missione in supporto alla Guardia costiera libica richiesta dal Consiglio presidenziale-Governo di accordo nazionale libico” (85 milioni).
Esattamente come l’anno scorso, però, la missione che richiederà il maggiore sforzo, economico e di mezzi, è quella che ci vede impegnati in Iraq nella lotta contro Daesh, all’interno di una coalizione che conta 69 Paesi. Il nostro resterà uno tra i contingenti più numerosi: 1.100 soldati, 305 mezzi terrestri, 12 aerei, per una spesa di 235 milioni di euro. Presenza massiccia, ancora, in Libano dove siamo impegnati per “agevolare il dispiegamento delle Forze armate libanesi nel sud del Libano fino al confine con lo Stato di Israele”: i nostri soldati saranno 1.076, per una spesa di 150 milioni di euro, in lieva aumento rispetto all’anno scorso.
Ma non è tutto. Tra le tante missioni rifinanziate, infatti, spunta anche quella in Kosovo e, in funzione anti-terroristica, nei Balcani. E poi Somalia, Albania, Egitto, Palestina, Mali, Bosnia, Cipro. Senza dimenticare le cinque missioni imposte dalla Nato, alcune delle quali in chiara funzione anti-russa. Come quella in Lettonia, “intesa a dimostrare la capacità e la determinazione della Nato nel rispondere solidalmente alle minacce esterne lungo il confine orientale dell’Alleanza”. Qui saremo presenti con 166 uomini e 50 mezzi terrestri, per una spesa di 23 milioni di euro.
O come quella in Turchia: 130 nostri militari saranno chiamati a sorvegliare il confine con la Siria. O, ancora, come quella la cui sede operativa sarà in Germania, alla base militare di Ramstein, finalizzata a “preservare l’integrità dello spazio aereo europeo dell’Alleanza rafforzando l’attività di sorveglianza” (12 mezzi aerei italiani e 120 unità, per una spesa di 20 milioni). Resta la nota positiva dei fondi stanziati per la cooperazione allo sviluppo: 296 milioni di euro, in crescita rispetto all’anno scorso.
Peccato che, tra i cinque progetti che saranno finanziati, accanto allo “sminamento umanitario” (115 milioni) o agli “interventi di sostegno ai processi di pace” (18 milioni), la fetta più grande della torta (120 milioni) sarà destinato alle “Forze di sicurezza afghane, comprese le forze di polizia”. La ragione? Bisogna “adempiere all’obbligo assunto in ambito Nato”.