Ripicche tra due amanti gelosi o l’inizio di una crisi irreversibile? Certo, a leggere le accuse al vetriolo che, ormai da settimane, si scambiano ogni giorno ininterrottamente, più che due partner affiatati, Luigi Di Maio e Matteo Salvini assomigliano ogni giorno di più a una coppia che scoppia. Se il primo incalza sul conflitto d’interessi e il daspo alla politica dalle nomine in Sanità, il secondo rilancia su flat tax e autonomie.
Ma l’alleanza M5S-Lega è davvero, come d’altra parte sembrerebbe, sull’orlo di una crisi di nervi? Al di là delle apparenze, più di qualche considerazione consiglierebbe di tenere aperta la porta del dubbio. Ieri, per dire, Cinque e Stelle e Lega se le sono date accusandosi di reciproci ammiccamenti con il nemico. “Inizio a notare troppi accoppiamenti tra Pd e Cinque Stelle, troppa sintonia. Dicono no all’autonomia, no alla flat tax, no al nuovo decreto sicurezza. Mi spieghi qualcuno se vuole andare d’accordo con il Pd o con gli italiani e la Lega, rispettando il patto”, ha tagliato corto Salvini dopo aver letto l’intervista di Di Maio a Repubblica.
Il caso Siri “ha svelato una faccia della Lega che pensavo appartenesse al passato. Ora anche il riavvicinamento in Europa con Berlusconi …”, ha infilato il dito nella piaga il leader M5S. Insomma, ce ne sarebbe abbastanza, da entrambe le parti, per far saltare il banco. Se non fosse un dettaglio che, tanto Salvini quanto Di Maio, hanno ben chiaro in mente. Come prenderebbero gli elettori la caduta di un Governo che, a quasi un anno dall’insediamento, gode ancora di un altissimo grado di fiducia?
In undici mesi Salvini ha portato la Lega dal 17 ad oltre il 30 per cento. Se pure arrivasse, insieme a Fratelli d’Italia, intorno al 40, tornare subito al voto sarebbe un salto nel buio. Come ha evidenziato ancora una volta ieri su La Notizia, Roberto Baldassari (Gpf Inspiring Research), con il sistema elettorale delle Politiche, tradurre quel 40 per cento in maggioranza parlamentare richiederebbe una distribuzione omogenea dei voti su tutto il territorio nazionale. Ma le Regionali in Basilicata prima e le Comunali in Sicilia poi hanno dimostrato che nel Mezzogiorno è proprio questa omogeneità che manca alla Lega. E per vincere, a Salvini non resterebbe che riabbracciare Berlusconi. Con il rischio di perdere una fetta di quei voti drenati proprio a Forza Italia.
Una soluzione, del resto, che secondo un sondaggio Gpf pubblicato il 12 marzo da La Notizia convince solo il 34,1% degli italiani. Ma non è tutto. Caduto il Governo, la regia della crisi passarebbe in mano al Quirinale. E non è detto che si risolva nel voto anticipato. I Cinque Stelle potrebbero offrire un nuovo contratto di Governo a chi ci sta. Un anno fa Renzi scappò sull’Aventino con i popcorn in mano a godersi lo spettacolo. Stavolta Zingaretti potrebbe rimettere il Pd in gioco. Secondo lo stesso sondaggio Gpf l’idea piace ancora meno dell’opzione Centrodestra unito (31,5%). Ma se andasse in porto sull’Aventino (forzato) ci finirebbe Salvini. Insieme a Berlusconi.