Un disegno di legge contro la vendita delle armi ai Paesi in guerra, tramite la reintroduzione del Cisd, un comitato interministeriale che valuti l’opportunità politica di autorizzare o meno l’esportazione di armi a questo o quel Paese. È questa l’idea del Movimento cinque stelle per provare a cambiare passo in tema di business armato. La proposta è stata presentata dal senatore M5S Gianluca Ferrara: “Sono fiducioso che possa vedere la luce; con la collaborazione di più figure professionali è stato fatto un eccellente lavoro”, dice a La Notizia.
Dopo un anno di governo, però, ancora non è chiaro un punto: l’esecutivo è contrario o no alla vendita di armi a Paesi che violano i diritti umani?
Questo governo eredita anche in questo ambito le scelte sbagliate dei precedenti governi, responsabili sia dello svuotamento della legge 185, sia di una politica commerciale militare sempre più spregiudicata e meno attenta ai diritti umani e alla pace.
In che senso?
La legge 185/90 sull’esportazione di armi, così com’è oggi dopo l’abolizione dell’apposito comitato interministeriale (Cisd) nel 1993, non prevede una responsabilità politica chiara e diretta dei governi sulle autorizzazioni rilasciate dall’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) della Farnesina. Ogni vendita che formalmente rispetti la legge viene autorizzata, e quelle verso Qatar, Pakistan, Emirati e perfino Arabia Saudita non sono vietate perché le violazioni di diritti umani commesse in questi Paesi non sono “accertate” nel modo previsto dalla 185 o perché i conflitti armati in cui sono coinvolti sono legittimati da un semplice richiamo strumentale all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, la legge 185 così com’è oggi – dopo decenni di picconate e sabotaggi legislativi – non consente di conoscere la data di rilascio delle autorizzazioni: non possiamo sapere se queste vendite siano state autorizzate con l’attuale esecutivo in carica o prima.
E se fossero imputabili a questo governo?
Se anche queste vendite fossero state autorizzate sotto la responsabilità politica, teorica, di questo governo – nello specifico del sottosegretario leghista Guglielmo Picchi che ha la delega in materia – il punto è che questi contratti sono il frutto di anni di trattative commerciali condotte dall’industria italiana con il sostegno politico dei passati governi, desiderosi solo di promuovere l’export del comparto difesa senza farsi troppi scrupoli.
La sua proposta potrebbe di fatto frenare la vendita a questi Stati. Come?
L’obiettivo del ddl è proprio quello di evitare, anche allorquando non sussiste una convergenza politica, che le armi vengano vendute a certi Paesi prevedendo più controlli e divieti. Anche nella situazione odierna generata dall’eredità di precedenti governi, con le modifiche attuate armi non se ne venderebbero più. Penso al potenziamento dell’istituto della sospensione a opera della Farnesina che potrà sospendere le autorizzazioni allorquando ci sia accertata violazione del diritto o di accordi internazionali o verso quei Paesi che si trovano in stato di conflitto armato. Rintroduciamo il Cisd per avere un referente politico e non più solo funzionari amministrativi.
Realisticamente: crede che la sua proposta di legge possa vedere la luce?
È stato appena assegnato alle commissioni di competenza che sono Esteri e Difesa, quindi ora seguirà l’iter. Se qualche forza politica dovesse insabbiarlo se ne assumerà le responsabilità non solo politica ma anche etica se pensiamo che in Yemen sono morti 85mila bambini. Il M5s non ha mai avuto e mai avrà le mani sporche di sangue: la vita viene prima di ogni business.
La Lega, però, ha una linea diametralmente opposta in fatto di armi. Come se ne esce?
Il contratto di governo prevede esplicitamente la necessità di “bloccare la vendita di armi ai Paesi in conflitto”. A prescindere da posizioni pacifiste, non comuni a tutti, se si vuole arginare il fenomeno migratorio si deve smettere di alimentarlo vendendo armi a Paesi in guerra. L’immigrazione si combatte non con gli slogan e le circolari, ma fermando le sue cause e quella della vendita d’armi, come detto anche da Papa Francesco.