Nei Paesi seri certi comportamenti si definiscono alto tradimento, con tutte le conseguenze del caso. Ma in Italia persino un Governo dotato del più ampio consenso popolare può essere umiliato da un singolo ministro tecnico, forte di una copertura del Capo dello Stato che già di per sé è un’anomalia costituzionale. Un gioco che ovviamente non può durare, perché il ministro in questione ha in mano i cordoni delle finanze pubbliche, e da come li sta usando sembra che voglia solo strangolare la maggioranza gialloverde.
Un rischio che Di Maio e Salvini hanno ben chiaro, anche se per il momento continuano a incassare le sberle che Giovanni Tria spartisce giornalmente, facendo da sponda con il partito delle tasse di Bruxelles, imponendo ai vertici di società partecipate consulenti personali discutibili e lasciando decreti importantissimi a impolverarsi sui tavoli, tanto degli impegni politici presi da M5S e Lega con i cittadini a lui non frega nulla. Per questo le tensioni con via XX Settembre, soprattutto a livello parlamentare, sono altissime e in caso di rimpasto dell’Esecutivo dopo le elezioni europee a molti esponenti del Movimento andrebbe bene vedere in quel ministero pure Giorgetti pur di dimenticarsi dell’attuale inquilino.
Ora, poiché amor con amor si paga, Tria sta ricambiando le stesse attenzioni che riceve, al punto di sconfessare platealmente il leader della maggiore forza di governo, e per di più colpendo su un nervo scoperto come quello delle banche. Esattamente quello che è avvenuto ieri con la decisione del Mef di salvare gli ex responsabili del Monte dei Paschi di Siena dall’azione di responsabilità chiesta da un azionista. Incredibile ma vero, invece di essere proprio il ministero a chiedere il procedimento, Tria ha negato questa possibilità anche a chi ha subito un danno conclamato.
Un atteggiamento ancora più grottesco se si considera che il ministero dell’Economia è oggi azionista di assoluta maggioranza a Rocca Salimbeni, dopo averci buttato vagonate di miliardi pubblici, e soprattutto che il vicepremier Luigi Di Maio solo pochi giorni fa aveva detto pubblicamente di essere favorevole a un giudizio sul comportamento degli amministratori, su questo plebiscitariamente seguito dalla base del Movimento e senza trovare alcun ostatolo (almeno sulla carta) nella Lega.
Al momento dell’assemblea dei soci che doveva prendere la decisione, ieri il Tesoro ha detto dunque di no all’azione di responsabilità che l’ex banchiere e fondatore della società di consulenza Bluebell, Giuseppe Bivona, ha chiesto per gli ex vertici Alessandro Profumo e Fabrizio Viola. “È chiaro ed evidente che per me chi ha ridotto quella banca in quelle condizioni debba pagare”, aveva detto Di Maio, restando totalmente inascoltato dal ministro che a questo punto è altrettanto evidentemente un corpo estraneo nel Governo indicato dagli elettori gialloverdi.
Profumo però non è un manager qualunque, e in atto guida la Finmeccanica – Leonardo, insieme al presidente Gianni De Gennaro, a tutti più noto per il ruolo di capo della polizia mentre al G8 di Genova accadevano i fatti della scuola Diaz, riconosciuti da una sentenza come torture. Un curriculum che solo in Italia frutta la promozione in una grande azienda pubblica, in modo d’altra parte non difforme dal trattamento riservato dai precedenti governi del Pd a Profumo, pure questo finito in un procedimento giudiziario riferito alla precedente esperienza di Ad di Unicredit, e ciò nonostante spedito a gestire prima Mps e poi la Finmeccanica.
È a Siena che però il banchiere riferì al mercato un’errata contabilizzazione come titoli di Stato nei bilanci dal 2012 al 2015 dei derivati costruiti con Nomura e Deutsche Bank sotto la gestione di Giuseppe Mussari per coprire le perdite generate dalle operazioni Alexandria e Santorini. Sulla base di quella contabilizzazione c’è chi aderì a un aumento di capitale che bruciò miliardi. Ne seguì un rinvio a giudizio e la decisione di Renzi e Gentiloni di salvarlo. La stessa cosa che ha fatto Tria. Se questo è il cambiamento…