Assolto dai giudici, ma comunque condannato dal suo partito. O, almeno, da una parte consistente di esso. Specie quella renziana. Il day after dell’assoluzione dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino per la vicenda degli scontrini, all’interno del Pd ci sono varie correnti di pensiero riguardo a quanto accaduto nel 2015 all’ex primo cittadino. Uno soprattutto, però, era il commento più atteso: quello di Matteo Renzi. “Dopo il sindaco Raggi anche un altro sindaco di Roma, Ignazio Marino, è stato assolto. Ne sono felice perché solo i vigliacchi brindano per le condanne. Noi siamo garantisti sempre. La vicenda degli scontrini contro Marino è stata una violenta campagna di fango del Movimento 5 Stelle contro l’allora sindaco per i suoi guai giudiziari”, dice il senatore del Pd, all’epoca dei fatti presidente del consiglio e segretario del partito.
Era il 30 ottobre 2015 quando 25 consiglieri comunali si presentarono dal notaio per formalizzare le loro dimissioni: Marino, che il giorno prima aveva ritirato le sue di dimissioni (presentate il 9 ottobre), decadde ufficialmente da sindaco di Roma. “Ricordo – dice oggi Renzi – che le dimissioni di 26 consiglieri del Pd e il decadimento del sindaco non avevano niente a che fare coi problemi giudiziari o con gli scontrini. Nel 2015 la scelta del Pd romano fu totalmente figlia di valutazioni amministrative legate al governo di Roma. Il Pd romano prese una decisione politica, non fece una guerriglia giudiziaria”.
Renzi, dunque, scarica ogni eventuale responsabilità sul Pd romano dell’epoca. E chi era stato nominato dallo stesso Renzi commissario del partito nella capitale all’epoca? Matteo Orfini, che a distanza di quattro anni non ha comunque alcune intenzione di chiedere scusa: “Ovviamente non credo di doverlo fare, perché quella scelta l’ho assunta spiegando fin dal primo momento che non era legata all’inchiesta. Marino non era adeguato a quel ruolo – ha sottolineato su Facebook l’ex presidente dem – stava amministrando male Roma, la città era un disastro“. Una tesi, questa, condivisa di fatto anche sui social (come si vede dai commenti alla nostra pagina che pubblichiamo qui affianco).
Ma c’è chi non la pensa così. Per Carlo Calenda, “farlo fuori così è stato brutto e autolesionista” mentre il deputato Pd e membro della direzione del partito, Roberto Morassut, parla di “una modalità decisamente antidemocratica”. Nicola Zingaretti, intanto, tace. “Nel suo ruolo di presidente della Regione ci sembrò lontano”, dice però oggi l’ex assessore all’Urbanistica e attuale presidente del municipio III, Giovanni Caudo. Esattamente come ora.