A leggere il documento, viene il sospetto che a scriverlo sia stato Silvio Berlusconi in persona. “A causa delle devastanti conseguenze che un uso indebito, improprio o partigiano dell’iniziativa penale può avere sulla protezione dei diritti civili, nonché sulla salvaguardia dello status sociale, economico, familiare e politico dei cittadini”, recita la relazione al disegno di legge (ddl) costituzionale (all’esame della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama) che detta nuove “disposizioni per l’individuazione delle priorità di esercizio dell’azione penale”, occorre non solo “ridisegnare il ruolo del pubblico ministero”, ma anche “rivedere le caratteristiche del procedimento penale”. A vergare il testo che punta di fatto a porre ferrei paletti al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale sancito dalla Costituzione, riscrivendone la disciplina, non è stato il Cavaliere ma un suo fedelissimo: il senatore di Forza Italia, Luigi Vitali.
Sì, proprio lui. L’avvocato penalista di Brindisi che, nel 2014, il partito di Berlusconi voleva spedire al Csm. Ma la sua ascesa al soglio dell’organo di autogoverno delle toghe, venne stoppata sul nascere dall’attuale vicepremier, all’epoca vice presidente della Camera, Luigi Di Maio: “I cittadini italiani conoscono Luigi Vitali? E’ il candidato di Renzi e Berlusconi al Consiglio superiore della magistratura – dichiarò il leader dei Cinque Stelle -. E’ imputato al Tribunale di Napoli per falso. Il 10 ottobre dovrà affrontare l’udienza preliminare”. Udienza nella quale Vitali è stato rinviato a giudizio (la sentenza di primo grado è attesa per maggio), per falso ideologico e false dichiarazioni del pubblico ufficiale sull’identità propria o di altri: secondo il procuratore aggiunto, Vincenzo Piscitelli, e il sostituto, Fabio De Cristofaro, avrebbe favorito l’ingresso nel carcere di Poggioreale della giornalista, Annalisa Chirico (pure lei a giudizio), asserendo che fosse una sua collaboratrice, per far visita all’ex deputato, Alfonso Papa, arrestato nell’inchiesta sulla P4.
Aspettando la sentenza, Vitali si occupa di riscrivere la Costituzione. Perché “la piena e irresponsabile indipendenza dei pubblici ministeri” ha finito per sfociare “in un uso dei loro amplissimi poteri discrezionali che si differenzia da caso a caso, in base a orientamenti, preferenze o ambizioni personali”. Ergo occorre “razionalizzare” e “coordinare l’attività del pubblico ministero, finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli sulla sua attività”, afferma Vitali nella relazione al suo ddl. Nel quale si prevede che “ciascun procuratore generale di corte d’appello, sentiti i procuratori del rispettivo distretto, formula proposte motivate di priorità nell’esercizio dell’azione penale”.
Proposte motivate trasmesse al procuratore generale della Cassazione che, a sua volta, le trasmette al ministro della Giustizia “con riferimento sia alle priorità sia ai mezzi di indagine”. Proposte analoghe, indirizzate sempre al Guardasigilli, vengono formulate anche dai ministri dell’Interno e dell’Economia. Solo a questo punto, il ministro della Giustizia, “formula una coerente e motivata proposta sulle priorità da seguire nell’esercizio dell’azione penale e la sottopone all’approvazione delle Camere”.
Un disegno di legge, quello di Vitali, già bocciato dai Cinque Stelle. “Appena sento odore di limitazione, contenimento o modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale per me si chiude sul nascere ogni possibilità di discussione – spiega a La Notizia il capogruppo M5S in commissione Affari costituzionali, Ugo Grassi -. Capisco le motivazioni, anche in buona fede, che possano indurre a chiedere modifiche al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, ma resto convinto che sia un valore del nostro ordinamento e che intervenire su questo tema presenti più svantaggi che vantaggi”.
Un esempio? “E’ vero, le procure sono spesso sature e impossibilitate a seguire tutti i procedimenti, ma nel momento in cui si dovesse decidere ogni anno di indicare i reati oggetto di una corsia preferenziale il risultato sarebbe di rendere ufficiale che in quel determinato anno una determinata categoria di reati non sarà perseguita”, aggiunge Grassi, suggerendo che la soluzione migliore è lasciare intatta l’attuale disciplina dell’azione penale. “Il problema non nasce dall’obbligatorietà dell’azione penale – conclude -. Iniziative di questo tipo sono tentativi di limitare l’autonomia della magistratura che invece a mio avviso va fortemente difesa”.