Mentre dalla Commissione europea e dai banchi dei più ferventi europeisti del Parlamento Ue si attaccano i cosiddetti “antieuropeisti”, colpevoli di prendere provvedimenti demagogici che non poteranno a nulla, un’altra bocciatura sonora alle politiche di Jean-Claude Juncker & C. arriva non da complottisti, populisti e chi più ne ha più ne metta, ma da un altro organo istituzionale della stessa Unione: la Corte dei conti Ue.
Due giorni fa, infatti, i magistrati contabili comunitari hanno steso un rapporto sugli effetti del Fead. Parliamo, cioè, del Fondo di aiuti europei agli indigenti che è finalizzato a sostenere “le azioni degli Stati membri volte ad alleviare la povertà”. A pensarci bene, una sorta di Reddito di cittadinanza ante-litteram in salsa europea. Gli obiettivi, d’altronde, sono gli stessi. Tuttavia, mentre la Commissione, da Pierre Moscovici a Valdis Dombrovskis, ha indirizzato alla Manovra italiana e, in particolar modo, al Reddito di cittadinanza, sonore critiche, ad essersi dimostrato un colossale buco nell’acqua è stato porprio il Fead.
Ma partiamo da principio. Con un finanziamento europeo di ben 3,8 miliardi nel periodo 2014-2020 (l’Italia è il Paese che ha ricevuto di più: 595 milioni di euro) il Fead si proponeva come strumento per “promuovere esplicitamente l’inclusione sociale”. E invece, secondo i magistrati contabili, “finanzia prevalentemente il sostegno alimentare e non è sempre mirato alle forme più estreme di povertà”. In sintesi, dopo cinque anni dall’avvio del progetto, “resta ancora da dimostrare se (il Fondo, ndr) sia efficace per conseguire l’inclusione sociale”.
Un fallimento, questo, che è rivelato anche dalle condizioni economiche che vivono milioni e milioni di cittadini europei. “Nonostante la diffusa prosperità in Europa, quasi una persona su quattro nell’Ue è ancora a rischio di povertà o di esclusione sociale”, sottolinea non a caso George Pufan, membro della Corte dei conti Ue e responsabile della relazione.
La riduzione della povertà, peraltro, è una componente fondamentale della strategia Europa 2020, che ha fissato l’obiettivo di “far uscire almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà o di esclusione sociale” entro, appunto, il 2020. Peccato che se nel 2008 (anno di approvazione della strategia) le persone a rischio erano 116 milioni, nel 2017 erano 113, il 22,5% della popolazione europea. Si rischia, dunque, di non raggiungere l’obiettivo.
Ma c’è di più. Di fatto, secondo la Corte, non c’è stato alcun tipo di monitoraggio da parte della Commissione europea. I magistrati, infatti, hanno rilevato come alcuni Stati membri abbiano definito le persone indigenti in maniera molto generica. La conseguenza? “Il sostegno diventa accessibile ad una gran varietà di destinatari finali”. Ma in questa maniera, ovviamente, gli aiuti finiscono col non essere mirati effettivamente ai più bisognosi: “la scelta dei destinatari finali viene lasciata alle organizzazioni partner o ai beneficiari che forniscono il sostegno, con il rischio che i soggetti più bisognosi non ricevano alcun aiuto”.
E in tutto questo l’occhio vigile della Commissione? È assente. I magistrati contabili hanno riscontrato che le misure di accompagnamento all’inclusione sociale sono spesso definite nei vari Programmi operativi dei singoli Stati “in modo vago”. Addirittura, in cinque degli otto casi presi in esame dall’audit, “in base alle relazioni annuali di attuazione non era possibile conoscere né il numero delle diverse misure da attuare né il numero dei destinatari finali”. E, ancora, in quattro casi su otto “la natura delle misure di accompagnamento non era chiaramente definita nel Programma”. Insomma, un caos totale. Che, alla fine, si è rivelato un flop perché, al di là del pur importante sostegno alimentare, l’inclusione sociale resta un miraggio. Ma intanto si critica il Reddito di cittadinanza. Per nascondere – viene da pensare a questo punto – i propri fallimenti.