di Yulia Shesternikova
Sud di Beirut, quartiere sciita Dahyeh degli Hezbollah, dall’arabo “partito di dio”, nasce nel 1982 a Baalbek, piccola località nella valle della Bekaa. Li chiamano i proletariati del popolo arabo. Un’ampia base di militanza sciita, composta da uomini e donne cresciuti spesso nella povertà e nel desiderio del riscatto. Una resistenza libanese, un movimento politico e militare che oggi combatte il nemico a fianco del governo di Assad. Apparentemente calmo. Ma poi ci si accorge che la realtà è diversa. Una guerra invisibile o forse, una guerra non raccontata, un conflitto che si sta aggravando a causa della crisi siriana. Il pericolo, che questo conflitto si estenda in tutto il Libano non è una sorpresa, vista la fragile situazione interna, con equilibri precari tra i cinque gruppi sociali: cristiani, drusi, alawiti, musulmani sunniti e musulmani sciiti. La tensione resta altissima in tutto il paese. Sembra ormai imminente l’apertura di un nuovo fronte di guerra nel paese del cedri. Il Parlamento libanese ha deciso di rinviare di 17 mesi le elezioni politiche che erano in programma il 16 giugno, a causa delle tensioni provocate dal conflitto in Siria. È la prima volta che ciò avviene dai tempi della guerra civile (1975-1990). La Siria è oggi terreno di scontro fra potenze estranee al Paese. Il governo libanese aveva dichiarato di avere una posizione neutra rispetto al conflitto, ma questo non è vero perché la maggior parte dei terroristi e delle armi sono entrate dal Libano. Ciò è accaduto grazie alla complicità di una parte del governo libanese. La società in Libano è divisa, la “coalizione 14 marzo” guidata da Saad Hariri, è ferma su posizioni anti-siriane. Gli Hezbollah e gli alawiti sostengono Assad. “Per il momento la guerra civile non è probabile. Hezbollah è troppo forte per essere sfidato. Con un arsenale formidabile e immense quantità di armi e denaro. Entrare in guerra con loro sarebbe un suicidio”, sostiene Walid Jumblat, il leader della minoranza drusa. Ma gli ultimi sviluppi lungo il confine siriano-libanese con il coinvolgimento degli Hezbollah dimostrano che il conflitto in Siria sta assumendo dimensioni sempre più pericolose. Quella che si sta combattendo in Siria è la più grande battaglia per procura dei nostri tempi che sta contagiando anche il paese dei cedri. Inquietanti venti di guerra soffiano su tutto il territorio libanese da nord a sud.
Le conseguenze della crisi
Anche a Tripoli è scoppiata una vera e propria guerra tra ribelli e sostenitori filo-siriani e gli scontri hanno già provocato decine di morti e centinaia di feriti. Scontri e tensioni si registrano pure a Sidone, dove i ribelli siriani, hanno provato ad aggredire le abitazioni dei cittadini sciiti, scontrandosi con l’esercito libanese. Violenti combattimenti armati nei pressi della città libanese di Baabek. Continui colpi di mortaio intorno alla capitale che costringono molti residenti a cercare rifugio nei sotterranei dei palazzi. Chi critica il “partito di dio” per la sua posizione deve capire che Hezbollah è sempre stato alleato della Siria. È ridicolo quindi credere che se la Siria soffre il terrorismo, il Libano può rimanere immune. “I nostri rapporti con la Siria non sono nati ieri, siamo due paesi vicini, se la Siria sta bene, il Libano sta bene”, dichiara Ammar Al Moussawi, il responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah. “Abbiamo un milione di siriani in Libano, tra lavoratori e rifugiati. Quindi la crisi ci riguarda e come. Hezbollah non appoggia il regime, Hezbollah difende la Siria come stato, l’unità del suo territorio e del suo popolo”, ha detto Moussawi.
Una resa dei conti quindi. Numerosi paesi occidentali alla guida dei quali Stati Uniti e Israele, che da anni stanno cercando di sistemare vecchi conti rimasti in sospeso con la resistenza libanese Hezbollah. È l’inizio della fine?