La Camera dei Deputati ha approvato con 461 voti a favore e nessuno contrario l’emendamento al disegno di legge sul “Codice rosso” che introduce il cosiddetto reato di revenge porn, cioè la pratica di diffondere immagini e video privati senza il consenso della persona interessata. L’emendamento che chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.
“Nei giorni scorsi – ha commentato su Facebook il premier Giuseppe Conte – avevo auspicato che tutti i parlamentari – donne e uomini, di maggioranza e di opposizione – potessero ritrovarsi uniti nel votare a favore di un testo che punisce il “revenge porn”: la diffusione di video e immagini a contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso della persona interessata. Si è appena conclusa la votazione alla Camera dei Deputati: 461 voti favorevoli, nessun voto contrario. Bella testimonianza da parte di una nostra fondamentale Istituzione!”.
“Sono sempre particolarmente soddisfatto quando dal confronto fra posizioni diverse viene fuori una convergenza che poi si riflette in atti votati all’unanimità”, ha commentato su Facebook il presidente della Camera, Roberto Fico. “Quando la Camera è in grado di dare risposte di questo tipo – ha aggiunto – è un segnale molto positivo. Perché significa che tra le forze politiche prevalgono gli obiettivi comuni e che il dibattito parlamentare è vivo e riesce ad assolvere alla sua funzione di trovare la sintesi, anche su temi sensibili e delicati”.
L’emendamento inserisce un nuovo articolo nel codice penale, il 613 ter. La stessa pena si applicherà a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche se separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena, inoltre, è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, cioè quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.