Mentre il neosegretario Nicola Zingaretti lavora senza sosta per proiettare verso il futuro il nuovo corso del Pd, il suo tesoriere in pectore, Luigi Zanda, sembra remare in direzione opposta. Dritto verso un passato che sembrava ormai definitivamente tramontato. Con un disegno di legge depositato al Senato, l’ex capogruppo dem a Palazzo Madama “prende atto della necessità della reintroduzione del finanziamento pubblico dei partiti” (leggi l’articolo). Sì, c’è scritto proprio così, nero su bianco, nella relazione introduttiva del ddl che porta la sua firma.
E non ci sarebbe da stupirsi, dopo il referendum del 1993 che spazzò via con il 90,3% dei voti il sistema delle sovvenzioni di Stato alla politica, se la volontà popolare venisse calpestata ancora una volta. Nonostante il conto salato, anzi salatissimo, già pagato negli anni dai cittadini.
Se prendiamo i tre partiti oggi rappresentati in Parlamento, sopravvissuti alla prima e alla seconda repubblica, il saldo è impressionante: dal 1988 al 2013, Lega, Forza Italia (poi Pdl e di nuovo FI) e Pd (già Pds e Ds), hanno incassato finanziamenti pubblici per quasi 1,6 miliardi di euro. Ecco nel dettaglio quando hanno incamerato. A cominciare dal partito più “anziano” tra tutti: la Lega. Transitando dalla prima alla seconda Repubblica, il Carroccio guidato prima da Umberto Bossi, poi da Roberto Maroni e infine da Matteo Salvini ha ricevuto dallo Stato, tra il 1988 e il 2013, la bellezza di 179 milioni 961mila euro. Una cifra dinanzi alla quale anche i 49 milioni che la Lega deve restituire sembrano spiccioli.
Eppure è ben poca cosa di fronte al piatto ancora più ricco servito a Forza Italia: quasi 800 milioni di euro raccolti a partire dal 1994 dalla formazione di Silvio Berlusconi che dal 2008 ha cambiato nome in Popolo della Libertà, prima del ritorno alle origini. Per la precisione parliamo di un finanziamento monstre di 784 milioni 182mila 330 euro. In media, 107mila euro ogni giorno trascorso nei 20 anni che vanno dal ‘94 al 2013.
E arriviamo al Pd. Nato nel 2008, dalla fusione dei Ds (già Pds) con la Margherita (che dal 2001 al 2008 ha maturato 77,5 milioni di rimborsi elettorali), Rinnovamento italiano e i Democratici. Nelle sue varie declinazioni, dal 1991 al 2013, la principale formazione della Sinistra italiana, nata dalla transizione dal Pds (1991-1998) – la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto che, nel 1994, andò a schiantarsi contro l’armata azzurra di Berlusconi – ai Ds (1998-2008), fino all’ultima metamorfosi nel Pd (nel 2008), ha incamerato finanziamenti pubblici per 630 milioni 730mila 246 euro. Per la precisione, 214 milioni di euro tra il 1991 e il 2008 nella staffetta tra Partito democratico di sinistra (Pds) e Democratici di sinistra (Ds). E altri 416,8 milioni, tra il 2008 e il 2013, sotto le insegne dell’ultima e attuale declinazione del Partito democratico.
Ricapitolando dal 1988 al 2013, anno in cui l’ex premier Enrico Letta decretò la fine dei finanziamenti pubblici (azzerati completamente a partire dal 2017), i tre partiti (o i loro eredi) superstiti della prima Repubblica, ancora presenti oggi in Parlamento, hanno incassato complessivamente un miliardo 594 milioni di euro.
Una marea di soldi, dunque, grazie ai quali i partiti hanno navigato nell’oro per anni. Eppure, dopo aver divorato centinaia di milioni di euro in un quarto di secolo, finiti i tempi delle vacche grasse, non si rassegnano. Dopo il fiasco del 2×1000, che ha portato nelle casse stremate dei partiti solo pochi spiccioli, ecco che spunta al Senato il disegno di legge targato Pd per reintrodurre il finanziamento pubblico. Insomma, la festa è finita. Ma potrebbe ricominciare.