di Valeria Di Corrado
“Fabrizio Montali era il trait d’union tra le istituzioni ed Enrico Nicoletti”. Il pm romano Paolo Ielo descrive così il legame tra l’uomo che gestisce gli affari dell’Istituto di vigilanza Nuova Città di Roma (aggiudicandosi appalti milionari con la pubblica amministrazione) e l’ex cassiere della Banda della Magliana. Il sostituto procuratore ieri ha chiesto la condanna a 6 anni e 6 mesi per Montali e 8 anni per Nicoletti. L’accusa per entrambi è di tentata estorsione nei confronti di un imprenditore in difficoltà economiche e dei proprietari di un bar ai Parioli. Sono state chieste le condanne per lo stesso reato anche nei confronti dei figli del boss della Magliana: 4 anni per Antonio e un anno per Massimo.
Le tentate estorsioni
Il primo caso risale al 2003. Montali, Nicoletti padre e figlio, con l’aiuto di Francesco Mario Dimino (che rischia 5 anni e 6 mesi di carcere), si facevano promettere e dare da un imprenditore interessi usurari (con tassi che arrivavano fino al 95% mensile) come compenso di operazioni di natura finanziaria. Tutto questo con l’aggravante di aver agevolato l’associazione di tipo mafioso facente capo ai Nicoletti. Nel secondo caso, invece, l’ex cassiere della Magliana aveva individuato nel febbraio-marzo del 2002, quale bene di suo interesse, un bar di via Sacro Cuore di Maria, a due passi da piazza Euclide, a Roma. Dimino si era inizialmente finto come un imprenditore interessato a rilevare l’attività e l’immobile nel quale era incluso, il tutto con una trattativa apparentemente regolare. Non avendo assecondato il loro piano criminale sarebbero cominciate le minacce. “Questa situazione può finire solo in due modi: un morto e un arrestato, oppure tu vendi al prezzo che dico io”, spiegava in una conversazione telefonica intercettata Enrico Nicoletti a una delle due vittime. O ancora: “Tu non sai chi sono io, ho fatto estorsioni, omicidi, sequestri di persona ed altro”. Per costringere i proprietari a cedergli l’immobile e la licenza commerciale del bar, il boss li intimidiva anche di notte definendo il suo guardaspalle Angelo Spreafico come “il principale killer di Roma. Anche per Spreafico il pm ha chiesto la condanna a 5 anni.
Corruzione prescritta
Un capitolo a parte quello della corruzione. Tra giugno 2002 e settembre 2003 gli imputati hanno concentrato i loro interessi su un bando del Comune di Roma per alloggi da destinare all’emergenza abitativa. Fabrizio Montali (figlio dell’ex deputato socialista Sebastiano) sembra facesse da intermediario tra un funzionario del Campidoglio, il nipote architetto e i Nicoletti. In cambio di informazioni riservate, indicazioni in merito al contenuto delle offerte (segrete) e pareri favorevoli sul rilascio della concessione per la costruzione di un opificio industriale sui terreni della Tiburfrigo (di cui Montali era socio), il funzionario del Comune sembra ricevesse auto di lusso come una Jaguar da 28 mila euro, ingenti parcelle e “omaggi enogastronomici” come una fornitura d pesce da 2 mila euro. Per il pm Ielo l’apporto di Montali consentiva le corruzioni. Reato che tuttavia è andato prescritto. Per quanto riguarda invece l’accusa di riciclaggio (nello specifico rimpiego di capitali illeciti), il sostituto procuratore ha chiesto l’assoluzione per gli imputati perché “non c’è prova dei flussi finanziari”.
Nella prossima udienza del 17 luglio i difensori faranno le loro conclusioni finali. La sentenza, invece, è attesa per il 19 luglio. Al di là della decisione dei giudici, emergerebbe dagli episodi contestati il legame tra l’ex cassiere della Banda della Magliana e colui che gestisce attualmente i più grandi appalti della vigilanza privata nella Capitale. Nell’elenco dei clienti dell’Istituto Nuova Città di Roma ci sono Ministeri, Palazzo Chigi, Enea, Rai, ambasciate di Stati esteri, tutti i più grandi ospedali romani e lo stesso Campidoglio.