Sarà magari come dice Luigi Di Maio. E che se la “pace” presuppone un “bisticcio”, tra il capo politico M5S e il padre fondatore Beppe Grillo “non c’è mai stato un litigio”. Di certo, dopo il vertice di ieri all’hotel Forum di Roma, quartier generale del comico genovese durante le sue apparizioni nella Capitale, al quale ha preso parte anche il deus ex machina della piattaforma Rousseau, Davide Casaleggio, le tre anime dei Cinque Stelle sembrano tornate a parlare e a ragionare con un’unica voce, un’unica testa e un un unico cuore.
“Abbiamo pranzato insieme e abbiamo convenuto tutti che ci sia bisogno di una organizzazione del Movimento, sia a livello nazionale che locale, in modo tale da essere competitivi anche alle amministrative”, spiega Di Maio. Tema peraltro sollevato dallo stesso vicepremier durante la prima assemblea dei parlamentari seguita alla cocente sconfitta delle Regionali abruzzesi. “Tutti sperano che anche dopo le amministrative il Movimento sia in calo anche a livello nazionale – prosegue il leade M5S -. è la solita sciocchezza ma a livello amministrativo, di Regioni e di Comuni, dobbiamo essere più competitivi”.
Presa di coscienza che rimanda al tema della struttura territoriale della creatura di Gianroberto Casaleggio. “Per farlo a breve inizieremo una discussione con i nostri iscritti sia sull’organizzazione del Movimento sia su alcune regole che riguardano i consiglieri comunali”. Tema quest’ultimo che mette sul tavolo anche un possibile ripensamento della regola dei due mandati. Fino ad oggi considerata un vero e proprio tabù ma che potrebbe essere rivista, per ora, proprio per i consiglieri comunali. Ma è stata un’occasione per archiviare definitivamente anche la vicenda Diciotti e gli strascichi che la negata autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, decisa dopo aver consultato online la base M5S, ha lasciato nel Movimento.
“Io non parlo Di un voto dei senatori che ancora deve esserci – riprende di petto la questione Di Maio -. Dico che la nostra forza è la partecipazione della democrazia diretta. Il voto su Rousseau è un momento di unione e non credo che bisogna usare quel 40% (la percentuale di iscritti che si è espressa a favore del processo a Salvini, ndr) con discorsi alla Cirino Pomicino, della prima Repubblica, il 40 e il 60”. Per dirla con Di Maio “questo è il mio grande orgoglio”. Ciò detto, la base si è espressa. E “presto ci sarà un’altra votazione su altri temi e le percentuali cambieranno ancora”. Messaggio neppure troppo velato rivolto ai dissidenti.
A chi, nei giorni scorsi, ha sostenuto che quel 41%, “chiede ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai principi del Movimento, è pronto a mobilitarsi e vuole chiedere conto della direzione di questo Governo”, come il deputato Luigi Gallo, vicino al presidente della Camera, Roberto Fico. O come la senatrice Virginia La Mura: “Dietro questo 41% c’è una base che chiede che le cose cambino, è un 41% che vale tanto, perché questo risultato è stato raggiunto nonostante alcune anomalie nel sistema di votazione”.
Ma il verdetto, sul caso Diciotti, è chiaro. “Se gli iscritti decidono una linea sono contento che senatori come Mantero e Airola dicano ‘mi adeguo’, questo è lo spirito – conclude Di Maio -. Anche io sono stato minoranza in quelle votazioni ma mi sono sempre adeguato a votare perché quello è il momento di unione del Movimento”. Piena sintonia, insomma, con il padre fondatore. “Non c’è mai stato un bisticcio”, assicura Grillo.