Ricordate i sorrisetti beffardi di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nell’autunno del 2011? I due leader rispondevano così alla domanda di un giornalista che chiedeva quanta fiducia avessero in Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio. Più o meno tutti, all’epoca, capirono che quelle risate offendevano tanto Berlusconi quanto l’Italia e gli italiani. In quel lontano 2011 perfino Pier Luigi Bersani disse: “Siamo stati derisi in modo inaccettabile. Gli italiani non sono Berlusconi, li si deve rispettare”.
Seppur con il dovuto distinguo, emergeva un messaggio chiaro, frutto di grande maturità politica: all’estero il presidente del Consiglio, di qualsiasi colore sia, rappresenta il Paese. Ora, domandiamo: che differenza c’è tra questo episodio e quello occorso due giorni fa, al parlamento europeo, dove il leader dell’Alde (gruppo dei liberali), Guy Verhofstadt, ha dato del “burattino” a Giuseppe Conte? Nessuna.
Lo stesso Bersani ieri, intervistato da Radio Radicale, pur non risparmiando critiche al Governo, ha parlato di sbeffeggiamento “con qualche eccesso di maleducazione”. Maturità figlia di una politica d’altri tempi, garbo istituzionale che non sembra trovare molto spazio oggi. Anche chi non condivide per intero le politiche di questo Governo, resta comunque perplesso di fronte ad un tweet come quello dell’eurodeputata Pd Pina Picierno (nella foto), che ha scritto: “Condivido l’intervento di poco fa di Guy Verhofstadt a Strasburgo. Mi stavo chiedendo la stessa cosa: “per quanto tempo ancora, Presidente Conte lei sarà il burattino mosso da Salvini e da Di Maio?”.
Un’altra esponente del Pd, Alessia Morani, ha twittato: “L’autorevolezza di Conte racchiusa in una parola: burattino #cheumiliazione”. Sempre su Twitter, nelle ore successive, viene diffuso un tweet di Matteo Salvini, risalente al 2014, nel quale da europarlamentare definiva burattino della Merkel l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Oltre a questo anche un video dove, lo stesso Salvini, definiva burattini vari leader europei. Come a dire: lo hanno fatto anche loro, di cosa si indignano se ora lo diciamo noi?
Va osservato però che si tratta di circostanze e contesti diversi. Conte è stato definito tale non sui social network, non nell’ambito della propaganda nazionale, non durante un’intervista in un talk show nostrano, bensì in una sede istituzionale europea, da un politico di altra nazionalità, mentre rappresentava il Paese. Ma, al di là di questo, più genericamente domandiamo: la politica può ridursi a questo? La politica può abdicare ad ogni responsabilità e garbo istituzionale, anteponendo a queste una perenne campagna elettorale che travalica i confini? Come funziona l’indignazione nella politica di oggi? Ci si indigna sempre oppure solo quando si è parte lesa?
Una politica così non ha autorevolezza, non ha futuro. E non stupitevi di quell’astensionismo che non accenna a diminuire, non chiamateli “indecisi” perché non lo sono, è gente decisa invece: a non andare a votare. E poi c’è lui, Guy Verhofstadt, che due anni fa al Parlamento europeo i 5 Stelle li voleva nel suo gruppo, nei liberali dell’Alde. L’intesa fu poi bocciata per incompatibilità programmatica dai suoi stessi parlamentari. Se fosse andata in porto il belga avrebbe usato lo stesso tono?