L'Editoriale

Una chance per il turismo. Salvare Alitalia vuol dire preservare un asset fondamentale per la principale vocazione del nostro Paese

La difficile partita del salvataggio della compagnia Alitalia

Diciamolo subito: quando un’azienda non sta sistematicamente sul mercato occorre il coraggio di lasciarla cadere piuttosto che salvarla con un pozzo senza fondo di denari pubblici. Un principio che vale anche per una società storica e piena di dipendenti come Alitalia. Su questa compagnia, in particolare, lo Stato non può sentire sensi di colpa, visto che ci ha rimesso una tale quantità di soldi da rendere inconsistente qualunque remora di parti politiche e sindacati. Nel salvataggio che si è delineato ieri sera c’è però una novità sostanziale rispetto al passato. Se da una parte la musica sembra sempre la stessa, col Ministero dell’Economia ad aprire il portafoglio, in realtà stavolta Alitalia non ha che una rotta: quella dell’equilibrio nei conti. L’operazione è complessa. Il Cda di Ferrovie ha dato il via libera per imbarcare nella nuova compagnia due consolidati partner industriali, gli americani di Delta Air Lines e i britannici della low cost EasyJet. Il Mef trasformerà in azioni il prestito ponte da 900 milioni impossibile da rimborsare a giugno prossimo, e con altri puntelli minori si preserverà un asset fondamentale per un Paese a vocazione turistica, destinato a perdere mercato senza una compagnia aerea con base nazionale. Tutto questo progetto ha ovviamente punti deboli, a partire da un possibile (probabile?) veto Ue, ma dopo aver già ampiamente ridimensionato gli sprechi del passato la nostra ex compagnia di bandiera potrebbe diventare persino un ottimo investimento, non solo per il sistema Paese ma anche per gli investitori, Mef compreso.