di Maria Giovanna Maglie
Crauti, frankfurter e ‘ndrine, altro che la sarcastica pistola piazzata su spaghetti fumanti dello Spiegel che ci schiacciava qualche tempo da al nostro destino di mangiaspaghetti e delinquenti incalliti. La malavita organizzata italiana abita in Germania, quelle che La Notizia sta pubblicando in esclusiva sono notizie che malignamente fanno piacere, non fosse che il sopracciglio sollevato a mo’ di superiorità i tedeschi, almeno quelli che sono venuti dalla Germania comunista come Angela Merkel e ora comandano su tutta l’Europa, continuano a mostrarcelo, e può darsi che non dispiaccia ai vari governi, che siano tecnici che siano di servizio, può darsi che soffrano di sudditanza e masochismo, ma a noi italiani fanno lo stesso effetto di un dito in un occhio. Non mi accusate, cari lettori de La Notizia, di mettere insieme fatti e cose confusamente, non è così, tutto si tiene se vi dico nell’ordine due o tre cose che nel male o nel bene segnano il tentativo già in parte realizzato di distruggere il nostro Paese, umiliarlo, fiaccarlo, deindustrializzarlo, un tentativo che dura da vent’anni almeno.
Al netto dei suoi peccatacci, della rivoluzione liberale mai compiuta, se questo progetto infame di ridimensionamento, di farci essere tutto vecchietti, agriturismo e monumenti fatiscenti non è ancora completato, si deve solo a un imprenditore e politico che risponde al nome di Silvio Berlusconi. Lo ha fatto, si è opposto alla svendita, solo perché il suo business non era esportabile, non si poteva de localizzare?
Può essere, il giudizio non cambia, ma siccome non è eterno, occhio all’incapacità strutturale, alla subalternità antropologica di governi e commentatori.
Elenco nell’ordine. La ‘ndrangheta sta ormai soprattutto a fare affari in Germania, rileggetevi i numeri e i luoghi sul giornale di ieri, e su quello di oggi le conferme che proprio dalla Germania arrivano. E’ uno scoop, domandatevi anche perché certe notizia altrove non le trovate. Sempre ieri il direttore Gaetano Pedullà ha magistralmente raccontato di un’Italia che ha ricevuto la promozione di Bruxelles sull’eccesso di deficit è in archivio, e tutti contenti e grati anche se in Europa ci sono sei paesi – Spagna, Francia, Olanda, Polonia, Portogallo e Slovenia – che presentano conti con il doppio del nostro deficit, se ne infischiano dei vincoli e per di più fanno la voce grossa. Aggiungete ancora – è l’articolo di ieri di apertura di Libero a firma di Claudio Antonelli – che da mesi tutte le regioni industrializzate del Nord sono bersaglio di una capillare propaganda dei territori di confine che invita le aziende a collocare oltralpe o nei Balcani le iniziative industriali. Francia, Austria, Serbia e tutto l’Est hanno assoldato personale delle agenzie specializzate per convincere gli industriali italiani a investire da loro. Da noi aumentano le tasse, scende il gettito e peggiorano i servizi, la burocrazia soffoca. I nostri vicini di casa fanno l’esatto opposto.
Si capisce così una realtà semplice semplice, ovvero che la pesante tutela dell’Unione Europea, che venga da Berlino, da Francoforte, da Strasburgo, non vale per tutti, vale per i vili. Ieri dopo la concessione da Palazzo Chigi Letta ringrazia, dall’Eliseo Hollande li manda a quel paese, chiarendo che la Commissione europea non deve dettare alla Francia quello che deve fare, soprattutto per quanto riguarda le pensioni,ma è ancora più duro sulle riforme strutturali: “Siamo noi che decidiamo quale sarà il percorso giusto per raggiungere l’obiettivo. Il compito della Commissione è dire semplicemente che la Francia deve consolidare i suoi conti”. Chi glielo dice a Enrico Letta, chi lo ha detto nel governo scorso a Mario Monti, come ci si comporta per affrontare la crisi nazionale e salvaguardare la sovranità nazionale? Certo non menandosela e menandocela con le riforme elettorali e le scaramucce nei partiti, certo non rinviando da un venerdì all’altro la soluzione dei lacci e laccioli che accompagnati da pietrone al collo ammazzano la nostra economia. Burocrazia, spesa pubblica, tasse vi dicono niente. Ecco che, come scrive Libero, dal 2000 al 2011 circa 27mila aziende italiane hanno de localizzato, se ne sono andate. Oggi è peggio. Solo nel 2012 nel Canton Ticino si è registrato un aumento del 18,7 per cento delle aziende iscritte al registro di commercio, per un totale di 2.797 unità, e la gran parte sono italiane. Sapete perché? Un solo esempio. In Carinzia servono sette giorni per una concessione edilizia e 80 per un impianto industriale, l’Irap non esiste, ci sono finanziamenti fino al 25% dei costi a chi decide di investire in ricerca e sviluppo. Chi e perché vuole ammazzare l’Italia? Una bella sfida per gli investigative reporters de La Notizia.