Lo scenario è cambiato. Perché ora, sul caso della nave Diciotti, non è più in discussione la condotta del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Ma, con la trasmissione delle memorie del premier, Giuseppe Conte, del suo vice, Luigi Di Maio, e del ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, la valutazione della Giunta delle Elezioni e delle Immunità parlamentari del Senato si estende adesso, inevitabilmente, all’operato dell’intero Esecutivo.
Del resto, come spiega il componente M5S dell’organismo di Palazzo Madama, Mario Giarrusso, “il Governo si assumerà la responsabilità politica delle azioni compiute collegialmente”. Ragione per la quale, le memorie trasmesse alla Giunta, che ieri ha iniziato la sua istruttoria sulla richiesta di autorizzazione a procedere formalizzata dal Tribunale dei ministri di Catania nei confronti del leader della Lega, costituiscono un fatto “assolutamente rilevante”. Ciò premesso, chiarisce Giarrusso, “alla luce degli atti abbiamo registrato la retromarcia di Salvini, la situazione è totalmente cambiata”.
Ma in ogni caso la posizione del Movimento Cinque Stelle “sarà compatta”. In un senso o nell’altro. Sebbene ieri al Senato, in ambienti M5S, un possibile cambio di orientamento, dal Sì al No all’autorizzazione a procedere, sembrasse già qualcosa di più di una semplice sensazione. A anche tra chi, forse un po’ troppo precipitosamente, si era espresso, in pubblico o in privato, per il via libera senza se e senza ma, qualche dubbio inizia a serpeggiare.
“Probabilmente non tutti avevano ben chiara la natura della decisione che, prima in Giunta e poi in Aula, i senatori saranno chiamati a prendere – spiega un autorevole esponente dei Cinque Stelle -. Qui non si tratta di autorizzare la magistratura ad utilizzare intercettazioni o ad eseguire misure cautelari nei confronti di un parlamentare per corruzione o altro reato, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione. Ma si tratta, piuttosto, di valutare se, sul caso Diciotti, il ministro dell’Interno, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia agito – e con lui, dopo le memorie trasmesse da Conte, Di Maio e Toninelli, l’intero Governo – per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante”. Come previsto dalla legge costituzionale del 1989 che disciplina i procedimenti per i reati ministeriali contemplati dall’articolo 96 della Costituzione. Quello nel cui ambito rientra, in altre parole, la contestazione sollevata dal Tribunale dei ministri nei confronti di Salvini.
La partita non si chiuderà, in ogni caso, con il voto della Giunta. Dove il ministro dell’Interno, se confermerà la sua disponibilità, potrebbe essere sentito mercoledì prossimo. Ma se anche la Giunta, come sembra possibile, dovesse bocciare la richiesta di autorizzazione a procedere, a decidere il destino di Salvini e, probabilmente, dell’intero Governo, sarà l’Assemblea di Palazzo Madama. Che entro sessanta giorni dalla trasmissione degli atti da parte del Tribunale dei ministri – formalizzata il 23 gennaio scorso – dovrà esprimersi. Ed è proprio tra i velluti rossi dell’Aula del Senato che si annida l’insidia più temibile per la tenuta della maggioranza.
La legge stabilisce, al riguardo, che l’Assemblea “può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” oppure “per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. Il rischio, come spiegato ieri in un’intervista a La Notizia dal professor Federico Sorrentino, sta proprio nella maggioranza assoluta richiesta per negare l’autorizzazione a procedere: “La maggioranza assoluta in Senato è piuttosto difficile da raggiungere per l’attuale coalizione di Governo. Bastano due o tre mal di pancia tra i senatori”. La partita è appena iniziata ed è tutta in salita.