Accipicchia quant’è bravo a prendere condanne il Movimento che ha in cima ai suoi valori l’onestà. Nel giorno in cui il tribunale dei ministri chiede di processare Salvini con la discutibile accusa di sequestro di persona per la vicenda della nave Diciotti, il tribunale di Roma sforna un’altra di quelle decisioni che lasciano a bocca aperta, e di certo non aumentano la fiducia dei cittadini nella Giustizia. Un aspirante candidato 5Stelle alle ultime elezioni in Campidoglio, tale Mario Canino, aveva presentato il suo curriculum e preso il ragguardevole numero di 124 click sulla piattaforma web predisposta per formare la lista. Prima di candidarlo i responsabili M5S avevano fatto gli ovvi accertamenti e scoperto che Canino si era scordato di dire che in precedenza aveva militato in un altro partito. Una mancanza di trasparenza per cui fu espulso, suscitando una denuncia finita con la condanna del Movimento a risarcire al mancato candidato 22mila euro per le spese legali sostenute. I Cinque Stelle, insomma, non sono padroni di scegliere i propri candidati, e se il buongiorno si vede dal mattino il senatore De Falco e chissà quanti altri potranno aggrapparsi a questa sentenza per affermare che nel Movimento ognuno può fare quello che vuole, senza vincolo di mandato o di adesione alle regole interne. Ovviamente il modello M5S di selezione dei portavoce nelle istituzioni è fragile, ma che sia un giudice a decidere chi ha diritto e chi no al simbolo fa rimpiangere persino i tempi in cui la politica era terreno esclusivo degli scendiletto dei capobastone.
L'Editoriale
Se i giudici decidono per i 5 Stelle
Al M5S non sono padroni di scegliere i propri candidati