Entro il 2030, si stima che che l’automazione della forza lavoro si svilupperà in tre ondate, aumentando la quota di attività manuali completamente automatizzabili dall’attuale 5% a quasi il 40 per cento. Dalla sola applicazione degli Accordi di Parigi, secondo l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, potrebbero nascere 24 milioni di nuovi mestieri a fronte di una perdita di 6 milioni di lavori tradizionali. Ma se non la si governa, l’innovazione tecnologica rischia di distruggere milioni di posti di lavoro nei prossimi decenni.
L’intelligenza artificiale e i big data sono solo la punta di un gigantesco iceberg che in futuro attiverà un fiume di investimenti, generando colossali profitti a discapito della forza lavoro tradizionale che è destinata ad uscire dal mercato se non sarà in grado di riqualificarsi rapidamente. Basti pensare che nel 2018 le attività decisionali nelle imprese sono state prese per il 19% dall’intelligenza artificiale, una percentuale destinata ad aumentare fino al 28% entro la fine del 2022 (dati World Economic Forum 2018).
Non si tratta necessariamente di una disfatta del lavoro umano davanti alla tecnologia, visto che le aziende interessate da questi cambiamenti stimano che il proprio personale coinvolto nella trasformazione in atto entro il 2022 sarà pari al 54%. Di questi il 13% avrà bisogno di nuova formazione per una durata inferiore a un mese, il 13% per un tempo compreso tra i 30 e i 90 giorni, e il 10% per un periodo stimato tra i 3 e i sei mesi. Invece coloro che avranno bisogno di aggiornarsi per un periodo compreso tra i 6 e i 18 mesi saranno circa il 9%, mentre i lavoratori che andranno incontro a processi di formazione per periodi pari o superiori ai 12 mesi si attesteranno intorno al 10 per cento.
Ma non è una partita che può essere lasciata solo in mano ai datori di lavoro, anche gli Stati devono pianificare le proprie attività per governare quella che si profila come la quarta rivoluzione industriale. L’allarme è stato lanciato ieri a Ginevra con la presentazione del Rapporto sul Futuro del Lavoro dell’International Labour Organization. L’Ilo sottolinea come l’innovazione tecnologica richiederà un sempre maggior aggiornamento professionale da parte dei lavoratori.
Per questo motivo l’International Labour Organization evidenzia la necessità di “aumentare gli investimenti in capitale umano e nelle politiche che aiuteranno le persone nella transizione da un lavoro all’altro, dato che più facilmente e più velocemente le competenze diventeranno obsolete. Bisogna inoltre – prosegue lo studio – riorganizzare i sistemi d’incentivi per le imprese in favore di strategie d’investimento a più lungo termine”. Gli Stati si dovranno anche preoccupare di creare una sistema di protezione sociale universale in grado di tutelare i cittadini nelle fasi di transizione tra un lavoro e l’altro.