Già alle origini del nostro Stato era prevedibile che aver fatto l’Italia non sarebbe bastato a fare gli italiani. Il Paese del campanili, sempre diviso tra Orazi e Curiazi, Guelfi e Ghibellini, laziali e romanisti, e qui potremmo non fermarci più, non ha mai nascosto troppo bene il malessere della convivenza sotto un tetto comune. Solo pochi giorni fa un quotidiano accusava i terroni di aver invaso le istituzioni, e su cosa in tanti hanno risposto è meglio stendere un velo pietoso. Mai però si era arrivati alla guerra tra poveri, schierando da una parte chi non ha niente se non adesso la speranza di un Reddito di cittadinanza, e dall’altra chi è persino più povero in visione del mondo, generosità e senso democratico. La valanga di adesioni a un ipotetico referendum contro la nuova misura di sostegno alle persone in cerca di occupazione è una delle pagine più misere della nostra storia. Lo è perché prova a impedire a una forza politica al governo di realizzare il suo più trasparente progetto elettorale, ma ancor di più perché spacca platealmente il Paese tra chi ce l’ha fatta e chi non ce la deve fare, a costo di rinnegare più il buon senso che la solidarietà. Spingere giù da un divano chi non riesce a trovare lavoro significa infatti far crescere le opportunità di tutti, compreso quel mondo della produzione che diversamente sarà interessante vedere a chi potrà vendere i suoi beni e servizi. Ma spiegare queste cose alla nuova platea elettorale di Forza Italia & Sinistra uniti non sarà facile, visto l’armamentario della propaganda già schierato in modalità da combattimento.
L'Editoriale
Il Reddito di cittadinanza e la guerra tra poveri
Il referendum contro il Reddito di cittadinanza è una delle pagine più misere della nostra storia