“Partiamo da una precisazione importante: la bocciatura è sulla proposta di divorzio consensuale con l’Europa, non sulla Brexit in quanto tale. Pre il resto credo che alla fine si giungerà a un nuovo accordo: è nell’interesse di molti Paesi europei, Germania e Italia compresi, rispetto allo stesso Regno Unito”. L’economista Antonio Maria Rinaldi, dunque, è certo: “alla fine si giungerà a una una rinegoziazione della Brexit e uno slittamento della data dell’uscita della Gran Bretagna”.
Una cosa è certa: si aprono nuovi scenari per l’Europa.
“Assolutamente sì. C’è un punto fondamentale, però: non è in discussione la Brexit, ma tutte le trattative portate avanti finora, sono state reputate non nell’interesse del Regno Unito”.
Secondo lei qual è lo scenario più nefasto cui potremmo andare incontro?
“Visto che il calendario dice l’uscita dell’Inghilterra avverrà il 29 marzo si potrebbe arrivare a quella data senza un’intesa. In quel caso si procederà a un recesso di appartenenza senza nessun tipo di accordo, con dei risultati completamente da esplorare ma che possono essere catastrofici”.
Lo scenario preferibile?
“Sta prevalendo un rinvio della data, magari a giugno, per un nuovo accordo tra Europa e Regno Unito, che abbia un’approvazione più ampia del Parlamento inglese”.
Perché senza un accordo ci saranno effetti negativi?
“Guardi, anche i tedeschi hanno ben capito che un accordo penalizzante per l’Inghilterra produrrebbe degli svantaggi per l’Europa e per la Germania stessa. Lo stesso discorso vale anche per l’Italia”.
Per quale ragione?
“Vale il principio secondo cui il cliente ha sempre ragione. L’Inghilterra è acquirente netto nei confronti dell’Unione europea, in primis della Germania. Un accordo non consensuale con le controparti potrebbe sicuramente danneggiare molto di più alcuni Paesi europei rispetto all’Inghilterra stessa”.
Cosa potrebbe accadere in Italia?
“Il nostro Paese ha tanto da perdere se non c’è un accordo. Noi abbiamo un situazione commerciale florida con l’Inghilterra, situazione che sarebbe compromessa senza un accordo. E non dimentichiamo i tanti italiani che lavorano stabilmente in Inghilterra. Insomma, è nel nostro interesse giungere a un accordo consensuale”.
Il Regno Unito secondo lei soffrirebbe di meno?
“L’Inghilterra gode comunque da sempre di un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti. In gergo: ha le spalle coperte”.
Cosa potrebbe accadere nel caso in cui si giunga a un no-deal?
“È nell’interesse di ogni singolo Paese, se non si dovesse giungere a un accordo con l’Ue, siglare intese bilaterali. Ricordo che noi abbiamo avuto sempre ottimi rapporti commerciali con l’Inghilterra. Non possiamo cancellare la parola “Regno Unito” dal nostro vocabolario commerciale”.
Chi è, secondo lei, responsabile di questa situazione: la May che non ha coinvolto il Parlamento inglese o l’Europa?
“L’Unione europea ha fatto l’enorme errore di procedere con un atteggiamento punitivo nei confronti del Regno Unito”.
Perché?
“La vicenda della Brexit, considerando che l’articolo 50 non è mai stato applicato, è stata abnorme e avrebbe potuto essere da esempio per qualche altro Paese. Credo, dunque, che ci sia stato l’intento di complicare le trattative, di non concedere più di tanto, per evitare che altri fossero allettati dall’idea di uscire dall’Unione europea in maniera ‘agevole'”.
Ed è stato un errore?
“Enorme. Non è stato tenuto conto che l’Inghilterra è una potenza economia e l’Unione europea non può pensare di rinunciare a questi rapporti commerciali ed economici”.
Alla fine cosa succederà, professore? Accordo o no-deal?
“Io penso che alla fine un accordo si troverà. Ma nel caso questo non dovesse avvenire, sono certo che le diplomazie saranno in grado di fare in maniera autonoma accordi proficui. D’altronde i rapporti commerciali con il Regno Unito c’erano anche prima dell’Unione europea”.
Inutile fasciarsi la testa prima del tempo?
“Se Bruxelles non dovesse essere in grado di giungere a un accordo, ce ne faremo una ragione. Certamente non faremo a meno dell’Inghilterra”.