In principio fu Sergio Chiamparino in Piemonte, poi seguì Enrico Rossi in Toscana, infine Catiuscia Marini in Umbria. Tutti d’accordo su un punto: bisogna ricorrere alla Corte costituzionale perché il decreto Sicurezza made in Salvini è incostituzionale. Prova ne siano le polemiche nate nei giorni scorsi sulla decisione dei cosiddetti “sindaci del no”, guidati da Leoluca Orlando, di non dar seguito ad alcune norme contenute nel decreto-legge. Eppure, mentre i governatori del Pd (e affini) minacciano il ricorso, a tremare per rischio incostituzionalità è un’altra legge, questa tanto cara al Pd tanto da diventare una riforma-simbolo della scorsa legislatura. Parliamo della riforma Madia, dal nome dell’ex ministro della Pubblica amministrazione.
Poche settimane fa, infatti, nell’indifferenza generale il Tar Molise (e dunque non un’istituzione politica, ma un organo terzo) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in merito alle norme “che hanno previsto lo scioglimento del Corpo forestale dello Stato e l’assorbimento del suo personale nell’Arma dei carabinieri e nelle altre Forze di polizia ad ordinamento militare”. C’è da dire, innanzitutto, che la decisione dei magistrati molisani segue quanto già fatto dai “colleghi” del Tar Abruzzo e Veneto. Insomma, secondo diversi organi della giustizia amministrativa quanto stabilito da Marianna Madia è assolutamente incostituzionale. Sarà ovviamente la Consulta a stabilire se è così o meno. Ma i motivi addotti dai magistrati, rispetto a quanto fatto in questi giorni per ragioni più squisitamente politiche dai governatori sul dl Sicurezza, sono decisamente interessanti.
Nella documentazione spedita alla Corte costituzionale, i magistrati del Tar Molise innanzitutto sottolineano come “la militarizzazione del Corpo forestale” impedisca “ in assoluto qualunque collaborazione funzionale con le Regioni del Corpo medesimo, in quanto le Regioni non possono disporre di forze militari, sulle quali è prevista una competenza esclusiva dello Stato”. Insomma, con lo scioglimento del Corpo forestale, che prima rispondevano alle esigenze delle Regioni e il passaggio di competenze a Forze di polizia militari su cui, in quanto tali, vige invece la competenza esclusiva dello Stato, si è creato un cortocircuito che, a quanto pare, sta creando non pochi problemi. Ma non è tutto. Secondo la lunga documentazione dei magistrati amministrativi, infatti, per ben sette ragioni (tutte puntutalmente elencate) la norma sarebbe in contrasto con tre articoli della Costituzione, a cominciare dal 5 (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”); per altre sei ragioni con 13 articoli della Costituzione (dal 7 al 19).
E tutto questo perché sarebbe stato “indispensabile che la riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato fosse realizzata mediante una intesa in Conferenza unificata”, mentre è da ritenersi “insufficiente il mero parere, inidoneo ad assicurare l’adeguata salvaguardia delle competenze e degli interessi regionali”. Di fatto, dunque, il Governo “ha agito arbitrariamente”. Da qui, come detto, il ricorso alla Corte costituzionale. Un ennesimo colpo per la riforma Madia già caduta per alcuni stralci in incostituzionalità nel 2016 (dai decreti relativi alla dirigenza pubblica fino ai servizi pubblici locali). Però nessuno pare essere preoccupato dal rischio che il Corpo forestale debba ricomporsi qualora la Consulta desse ragione ai Tar. Molto meglio parlare del decreto Sicurezza e di un ricorso ancora da presentare.