Nel Paese dove la burocrazia può metterci anni solo per spostare una pratica da un tavolo a un altro, in queste ore c’è chi protesta perché il Governo si è preso pochi mesi per decidere se proseguire o no alcune costosissime opere. Così è stato per il Tap, il gasdotto sottomarino che arriverà in Puglia, e così è adesso per il Terzo valico, un’autostrada che da Genova porterà in Piemonte, correndo per circa due terzi dei suoi 53 km in galleria. Per queste due infrastrutture, come per il treno merci ad alta velocità tra Torino e Lione, M5S e Lega hanno stabilito nel loro contratto di governo un’analisi dei costi-benefici. E i costi, quando si investe, sono sempre certi (o in aumento), mentre i ricavi sono tutti da dimostrare. Ora tutti sanno che i 5 Stelle hanno contestato queste due realizzazioni, ma una volta andati al Governo hanno rispettato l’impegno di non sprecare altri soldi dei cittadini, e si sono rimessi lealmente a una valutazione non pregiudizievole. Abituati come siamo all’opportunismo dei nostri politici, era plausibile che il ministro Lezzi nella sua Puglia o Toninelli avrebbero utilizzato il loro ruolo per compiacere chi non vuole i cantieri, fregandosene come in passato se l’appalto era più utile ai costruttori che ai cittadini. Invece questa volta non è andata così, e l’interesse collettivo ha prevalso su quello di bottega, con un via libera a queste opere che rassicura chi ci mette i soldi, cioè noi italiani, che avremo perso qualche settimana di scavi ma ora sappiamo che al punto in cui stiamo questi lavori costa meno terminarli che abbandonarli.
L'Editoriale
Grandi opere, un’analisi tra lealtà e benefici
Il dibattito sulle grandi opere, dal Tav al Tap