La Corte Cassazione, con una sentenza emessa oggi, ha confermato il diritto dell’allora compagnia aerea Itavia, oggi in amministrazione straordinaria, ad essere risarcita dallo Stato perché il suo dissesto finanziario avvenne in seguito al disastro di Ustica del 27 giugno 1980, quando un suo Dc-9, mentre era in volo da Bologna a Palermo, precipitò nel Tirreno con 81 persone a bordo. Una vicenda ancora oggi oggetto di indagini, anche da parte della Procura di Roma.
E i 265 milioni di euro di risarcimento stabiliti in appello dal Tribunale civile di Roma potrebbero non bastare. La Suprema corte ha, infatti, da un lato respinto i ricorsi dei ministeri della Difesa e dei Trasporti, e dall’altro accolto quello della società, che chiede ulteriori danni perché dopo uno stop di sei mesi fu costretta alla cessazione definitiva dell’attività per insolvenza.
La Cassazione, che già in passato si era pronunciata sul caso Ustica nell’ambito di altri procedimenti civili intentati dai familiari delle vittime, ha di nuovo convalidato le conclusioni a cui arrivò nel 1999 l’istruttoria condotta dal giudice Rosario Priore ritenendo “più probabile” che il disastro sia conseguenza del “lancio di un missile” che per errore colpì l’aereo civile italiano. I due ministeri, per questo, sono stati condannati a risarcire l’Itavia – così come anche i familiari delle vittime in altri procedimenti civili già conclusi – per non aver assicurato adeguate condizioni di sicurezza e di sorveglianza lungo l’aerovia percorsa quella notte dall’aereo. Secondo la sentenza della Corte d’appello civile di Roma del 2012, la tragedia si sarebbe potuta evitare se i due ministeri avessero adottato “le condotte loro imposte dagli obblighi di legge”.
La terza sezione civile della Cassazione ha quindi disposto un nuovo processo d’appello a Roma, è sarà il sesto grado di giudizio, che dovrà decidere sull’ulteriore pretesa risarcitoria di Itavia relativa alla cessazione dell’attività della compagnia e alla conseguente revoca delle concessioni di volo.