Trecentosessantatré. È il numero, secondo l’Osservatorio militare, dei decessi tra gli appartenenti alle Forze Armate che hanno perso la vita per la presunta contaminazione da uranio impoverito. L’ultima vittima è un maresciallo dell’Aeronautica morto circa un mese fa. E, chissà, forse è stato anche per lui che, finalmente, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha detto basta. Dopo anni di “assordanti silenzi”, come li aveva definiti la Commissione parlamentare d’inchiesta nella relazione approvata al termine della scorsa legislatura, arriva una promessa di chiarezza.
Il ministro ha infatti ammesso che “il tema c’è, esiste e non possiamo voltarci dall’altra parte” ed ha annunciato l’avvio di un tavolo tecnico per approfondire la questione dopo aver incontrato Domenico Leggiero, il responsabile dell’Osservatorio che dal 1999 si occupa dei casi di presunta contaminazione da uranio impoverito. Sotto il profilo pratico, l’impegno si è tradotto nella richiesta già avanzata all’Avvocatura di Stato di un “resoconto complessivo su tutte le pendenze giudiziarie in corso” per approfondire “ogni singolo caso separatamente, perché ogni caso ha le sue specificità”. Durante lo studio dei casi, promette, “sarà avviato un tavolo tecnico che vedrà coinvolti “i principali attori competenti sulla materia”. Perché fino ad oggi sulla questione uranio “c’è stato un silenzio spaventoso e questo non è più accettabile”.
Parole di segno totalmente opposto alla reazione dello Stato Maggiore della Difesa e dello stesso ministero quando lo scorso 7 febbraio la Commissione parlamentare, presieduta dal dem Gian Piero Scanu, rese pubblica la relazione finale. In quel testo c’erano accuse inequivocabili e si parlava di “sconvolgenti criticità” scoperte nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari, sia in Italia che durante le missioni estere. Risultati imbarazzanti per i vertici militari e il governo perché, secondo deputati e senatori, la “diffusa inosservanza degli obblighi (…) risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive”.
Il risultato? Racchiuso in un numero: 1100 soldati deceduti o ammalati per patologie absesto-correlate solo in Marina. Quando vennero resi pubblici i risultati dell’inchiesta parlamentare si era consumato un duro scontro tra la Commissione e la Difesa. Perché quelle “criticità sconvolgenti” avevano “contribuito a seminare morti e malattie tra i militari”, mentre i vertici della Difesa facevano “negazionismo” e si registravano “assordanti silenzi” delle autorità di governo. Accuse che lo Stato maggiore aveva definito “inaccettabili” ribadendo il proprio impegno nella “tutela della salute dei militari”.
Che il Movimento 5 stelle su questo punto sia più che unito lo rivela il fatto che, dopo le parole della Trenta, è stato un coro di lodi. “Sono al fianco del ministro Trenta che ha riportato l’attenzione su un tema mai affrontato con la dovuta serietà”, ha detto il ministro Giulia Grillo. “Gli interventi del ministro della Difesa meritano il plauso di tutti”, ribatte Luigi Di Maio. “Faccio il mio sincero plauso al ministro Trenta”, sottolinea non a caso anche Beatrice Lezzi. “Una battaglia storica del M5S, che il Movimento porta avanti da anni e che ora conduce a risultati ancora più concreti”, dice Danilo Toninelli. Stride e lascia un po’ pensare, invece, il fatto che nessun’altro, dal Pd a Forza Italia fino alla stessa Lega, abbia proferito parola.