Il punto più inquietante è il numero 15: il Parlamento europeo è letteralmente “sconcertato dalla quantità di armi e munizioni prodotte nell’UE e trovate nelle mani di Da’esh in Siria e in Iraq”. Ed è anche per questo che Bruxelles “invita tutti gli Stati membri a rifiutare in futuro trasferimenti analoghi, in particolare verso gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita”. Tredici pagine in tutto. Ma la risoluzione approvata due giorni fa dal Parlamento europeo è un attacco frontale, il più duro mai fatto, ai Paesi membri e al loro business militare. Un business che non guarda in faccia a nessuno, tanto da legare Stati “civili” a quelli legati al mondo terrorista.
IL DOCUMENTO – Ma partiamo da principio. Riunita in plenaria a Strasburgo, Bruxelles ha approvato una risoluzione (427 voti a favore, 150 contrari e 97 astensioni) che richiama l’attenzione degli Stati membri sul fatto che le armi prodotte nell’Ue e illegalmente vendute oltre i confini continentali sono impiegate in conflitti in diverse regioni del mondo. In realtà l’Ue si è data regole comuni in materia di esportazioni di armi, mediante l’unico accordo giuridicamente vincolante su scala regionale relativo ad armi convenzionali. Peccato, però, che tali regole vengano sistematicamente infrante. Da qui la richiesta di procedure verso chi fornisce armi a Paesi belligeranti oppure addirittura a formazioni terroristiche. Basti, d’altronde, considerare i dati della 19ma relazione annuale sulle esportazioni delle armi, ricordati puntualmente nella risoluzione predisposta dall’europarlamentare tedesca Sabine Lösing. L’Unione europea è, oggi, “il secondo maggior fornitore di armi al mondo” (27% delle esportazioni totale di armamenti di vario genere), “dopo gli Stati Uniti (34%) e prima della Russia (22%)”. Nel 2016, il 40,5% delle licenze di esportazione delle armi (per un valore di 78 miliardi) “è stato concesso a Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa”. Arabia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti “rappresentano la maggior parte di tali esportazioni”, per un valore di quasi 58 miliardi di euro.
PECUNIA NON OLET – Tra gli esempi sui quali si sofferma il documento approvato figura l’Arabia Saudita: “Nonostante il Paese violasse sei degli otto criteri stabiliti” dall’Ue sul commercio delle armi, “quasi tutti gli Stati membri hanno dato il via libera all’esportazione di armi, compromettendo così l’intero sforzo europeo di controllo degli armamenti”. Le navi da guerra esportate “hanno contribuito a rafforzare il blocco navale nello Yemen, mentre gli aerei e le bombe sono state fondamentali per la campagna aerea, causando sofferenze continue alla popolazione dello Yemen”. Fanno eccezione, si specifica, Germania e Paesi Bassi, “che hanno cessato di vendere armi all’Arabia”. Ed è qui che emerge la posizione italiana. O, meglio, la non-posizione. Il nostro Paese, infatti, continua a vendere armi (e, nella fattispecie, le bombe citate nella risoluzione) all’Arabia. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali che il Governo consegna annualmente al Parlamento, dal 2012 al 2017, l’Italia ha autorizzato esportazioni d’armi all’Arabia per 1,4 miliardi di euro. Sul punto il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha chiesto conto al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, dato che l’ufficio che autorizza la vendita di armi (l’Uama) fa capo alla Farnesina. Ma, almeno finora, nessuna risposta concreta è mai arrivata. Vedremo ora dopo la durissima presa di posizione del Parlamento europeo.