di Nicoletta Appignani
Sono otto ragazzini. Hanno dai 15 ai 17 anni. E sono accusati di detenzione di materiale pedopornografico e di aver istigato al suicidio una loro coetanea: Carolina, la quattordicenne che lo scorso gennaio si è tolta la vita lanciandosi dal balcone di casa, a Novara.
I motivi del gesto
In rete erano circolati dei suoi video, ripresi durante una festa, cui poi era seguito un linciaggio telematico sui social network. Da alcune testimonianze, sembra che la ragazza soffrisse molto per una serie di commenti apparsi sulla sua pagina Facebook, lasciati da alcuni suoi conoscenti che l’avevano presa di mira. E proprio in quello spazio la giovane aveva voluto lasciare un messaggio, poche ore prima della morte: “Con la gente ho già avuto troppa pazienza, non voglio più perdere tempo”. Non è un caso dunque che oggi sia proprio Facebook l’agorà virtuale dove il dibattito è più acceso. Basti dire che sono 14 i gruppi e le pagine a lei dedicati. E quasi 13mila le persone riunite a discutere on line di ciò che è accaduto alla ragazza. A creare dibattiti accesi sul cyberbullismo, sul ruolo dei genitori e su quello delle istituzioni.
Fuori dalle aule
Sono temi complessi, vicini alla vita quotidiana. E vengono trattati sui social network dove, protette dalla distanza fisica che impone la rete, eppure con un volto spesso ben visibile nella foto dei propri profili, ragazzine magari della stessa età della vittima si immedesimano in ciò che Carolina deve aver vissuto. Ma non solo: si confrontano, raccontano su bacheche pubbliche le loro esperienze e addirittura arrivano a insultarsi. A un mese dal suicidio della giovane, proprio sui social network la famiglia dell’adolescente si era trovata costretta più volte a difendere la ragazza dagli attacchi postumi lanciati da persone che neanche la conoscevano. Mentre altri colgono invece l’occasione per parlare delle proprie esperienze. Su una di questa pagine, per esempio, si legge lo sfogo di una donna che ricorda la sua difficile adolescenza. E ancora, qualcuno nel ricordare Carolina Picchio, piange anche un’altra vittima, questa volta di un attentato: quello di Brindisi, nel quale perse la vita Melissa Bassi. Anche lei giovanissima, anche lei ancora viva sul social network, con 19 pagine dedicate e più di 50mila persone che a tutt’oggi commentano ciò che accadde quel 19 maggio 2012. Discussioni che aiutano a comprendere quali siano i temi importanti per le persone: la sicurezza, le istituzioni, la famiglia.
Dentro il Palazzo
Il bullismo si sposta dalla strada alla rete internet. Ma il disegno di legge presentato il 20 ottobre 2010 giace in Senato. Anche se all’epoca, due anni e mezzo fa, già se ne faceva presente il carattere d’urgenza. Basti pensare che un mese e mezzo prima del suicidio di Carolina, un altro ragazzo si era tolto la vita perché vittima del cyberbullismo. Aveva 15 anni. Era omosessuale e non lo nascondeva. Ma come è accaduto a Carolina, a scuola qualcuno aveva iniziato a prenderlo in giro. Battute sempre più difficili da sopportare, che erano arrivate anche su Facebook. Sono queste le conseguenze del nuovo bullismo. Quello sulla rete. Visibile a tutti. Una pubblica gogna capace di diventare talmente umiliante da rendere impossibile la vita, come può accadere con la pubblicazione di conversazioni private e foto imbarazzanti. Lì dove tutti possono guardarle. Una nuova comunicazione che rende il bullismo peggiore di prima, capace di raccogliere consensi di persone che, magari per gioco, si uniscono a quello che sembra solo uno scherzo, finendo per diventare ulteriori carnefici. Allarmanti gli ultimi dati dell’Osservatorio della Società italiana di pediatria che indicano come il fenomeno sia in netta crescita. Oltre il 43% degli intervistati ha dichiarato che a lui o a un suo amico è capitato di essere vittima di episodi di cyberbullismo. E mentre su facebook centinaia di migliaia di persone ne parlano, nelle aule del Parlamento regna ancora il silenzio.