di Sergio Patti
Basta incertezze. Adesso è il Parlamento a prendere l’iniziativa e a voler vederci chiaro sui debiti delle pubbliche amministrazioni. Uno stock dal valore indefinito: 80 miliardi per il Tesoro, 90 per la Banca d’Italia, oltre 12o per alcune associazioni d’impresa. Un caos a cui il Senato ha deciso di mettere fine richiamando il governo a una sua precisa responsabilità: fornire i dati reali sulle dimensioni del problema. Ad annunciare la mossa è Antonio D’Ali, senatore che si sta muovendo più di molti altri per accelerare il pagamento delle somme dovute alle imprese.
Chiamare il governo a rispondere è il primo passo. Ma poi bisogna trovare tutti i soldi – non solo i primi 40 miliardi – e decidere i criteri di spesa. Che intenzioni avete su questo?
Per prima cosa dobbiamo sapere sul serio di quanti soldi parliamo. Il sistema delle certificazioni dei debiti gli enti locali non ha funzionato. Dobbiamo dare più tempo per questo, per non trasformare il mancato pagamento da parte di una pubblica amministrazione non virtuosa in una doppia ingiustizia sul creditore. Poi vanno definiti i criteri di pagamento. Il metodo cronologico non è il migliore, perchè alcuni grandi creditori rischiano di prosciugare gran parte delle risorse. L’idea è allora quella di partire dall’anzianità delle fatture da pagare, mettendo però un tetto agli importi.
Ma è accettabile che lo Stato non sappia quanti sono i suoi debiti?
No, non lo è. Perciò dobbiamo venirne a capo quanto prima. E siccome il disastro nella certificazione dei debiti degli enti locali dimostra che lo Stato da solo non ci riesce, la mia ricetta è creare anche qui nuove sinergie tra pubblico e privato. Un modello che sono certo il risultato ce lo porta.
Serviranno modifiche al decreto…
Su questo c’è una buona intesa con il secondo relatore, il senatore Santini del Pd, e il senatore Marino di Scelta civica. La priorità è però non stravolgere il testo per non riportare tutto in alto mare.
Per pagare il resto come farete?
Qui è l’altro grande problema. Per lo stock da oltre 10 miliardi già scontato in banca dalle imprese puntiamo su un grande accordo tra governo e Abi (l’associazione bancaria italiana). L’idea è quella di attivare un meccanismo fideiussorio capace di liberare nel sistema risorse fresche. E poi ci sono la leva della Cassa depositi e prestiti e la possibilità di aumentare le compensazioni dei crediti con il fisco.
C’è pure il rischio di nuove tasse?
Assolutamente no. Questa è una strada alla quale non vogliamo neppure pensare. Tutto questo però non basta per spingere la crescita… Serve altro, è chiaro. E qui al primo punto c’è la costituzione di un grande Fondo immobiliare pubblico, capace di mettere a reddito tutti quei beni non strumentali (e quindi disponibili) che per lo Stato sono inutilizzati o addirittura un costo. Chi ha resistito fin ora, a partire da ministeri come la Difesa, deve fare un passo indietro. E poi serve una grande riforma costituzionale e dello Stato, tagliare i centri di spesa, ridurre le regioni e i comuni. Solo così lo sviluppo potrà ripartire.