Dal “prima gli italiani” al “prima l’italiano” il passo è breve. Specie per il partito di Giorgia Meloni ispirato, finanche nel nome, all’inno di Mameli. Per i deputati di Fratelli d’Italia, del resto, dev’essere stato un colpo al cuore scorrere le pagine del Sillabo. E ritrovarsi tra le mani un testo, pubblicato dal ministero dell’Istruzione il 14 marzo scorso per promuovere l’educazione all’imprenditorialità nelle scuole superiori, imbottito di anglicismi e parole in inglese. Roba da far sobbalzare sulla sedia, Francesco Lollobrigida e Paola Frassinetti, che, sulla vicenda, hanno sollevato un vero e proprio caso politico.
PATRIMONIO A RISCHIO – Con un’interpellanza al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, per chiedere di verificare, tra l’altro, “l’adeguatezza e l’opportunità” di un testo “che sembrerebbe andare nella direzione opposta rispetto alla necessità di tutelare la lingua italiana quale elemento costitutivo dell’unità nazionale”. Anche perché, del Sillabo s’è occupato pure il Gruppo Incipit (che monitora neologismi e forestierismi) dell’Accademia della Crusca. Riscontrando nel testo “la meccanica applicazione di un sovrabbondante insieme concettuale anglicizzante, non di rado palesemente inutile, a fronte dell’italiano volutamente limitato nelle sue prerogative basilari di lingua intesa quale strumento di comunicazione e di conoscenza”. Ma non è tutto. “Concretamente, questo pare il messaggio del Sillabo: per imparare a essere imprenditori non occorre saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building, non serve progettare, ma occorre conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day”. Premesse impietose tanto quanto le conclusioni: “Più che un’educazione all’imprenditorialità, questo documento sembra promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi delle forze imprenditoriali del futuro – scrive il Gruppo Incipit -. Pare una sorta di contraffazione paradigmatica della cultura e del patrimonio italiano: è così che si vogliono promuovere e valorizzare le eccellenze italiane, il Made in Italy?”.
PRIMA L’ITALIANO – Certo, “non può negarsi che nella società moderna globalizzata l’utilizzo di vocaboli tratti da altre lingue, che per le loro caratteristiche consentono di racchiudere in una sola parola conosciuta ai più e utilizzata nel linguaggio comune un concetto in maniera sintetica ed incisiva, costituisce un dato di fatto”, argomentava rispondendo, nel luglio scorso, all’interpellanza, il vice ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Senza contare che nel linguaggio d’impresa il ricorso all’inglese è addirittura irrinunciabile: “Ecco spiegato l’uso di queste terminologie inglesi nel documento Sillabo”. Fermo restando, ha assicurato, che il ministero dell’Istruzione non vuole affatto “promuovere nelle istituzioni scolastiche l’uso della lingua inglese a discapito di quella italiana”. Risposta soddisfacente? Almeno in parte sì, almeno secondo la Frassinetti: “È chiaro che siamo in un contesto internazionale dove gli studenti sempre di più vanno all’estero… – ha detto nella sua replica -. Però, bisognerebbe sforzarsi di distinguere: cioè, le lingue straniere vanno studiate molto di più, ma l’italiano va tutelato”.