di Mimmo Mastrangelo
È stato grazie alla maxinchiesta Minotauro partita nel 2009 dalla Procura di Torino (ha portato poi lo scorso ottobre alla condanna di 158 persone) che si sono scoperti tutti gli affari, le connivenze e gli altarini della ‘ndrangheta nel Piemonte e in altri centri del Nord del Paese. La gola profonda a svelare al pm Roberto Sparagna “la mappatura” di omicidi, estorsioni e traffici loschi con l’economia e la politica locale è il pentito Rocco Varacalli, già affiliato all’onorata società e più volte arrestato per traffico di stupefacenti. Nato nel 1970 a Natile di Careri, un piccolo centro della Locride in provincia di Reggio Calabria, Varacalli è diventato ‘ndranghetista all’età di 24 anni, dopo l’arresto avvenuto nel 2006 e quasi 200 giorni di isolamento ha deciso di saltare il fosso e passare dall’altra parte della barricata, sulla sponda della legalità. “So bene che posso essere ucciso da un momento all’altro – ammette – La ‘ndrangheta non perdona. Ma questa è la strada che ho scelto”. Una vita quella di Rocco Varacalli che ha fatto dietro di sé terra bruciata ed immaginare per essa un futuro è un esercizio semplicemente improbabile. “Sono un uomo morto” sentenzia Varacalli. E “Sono un uomo morto” è anche il libro che il pentito ha scritto per Chiarelettere insieme al vicedirettore del Mattino Federico Monga, presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino.
La militanza nero su bianco
Oltre 150 pagine in cui il collaboratore di giustizia racconta minuziosamente nei dettagli dinamiche e situazioni che hanno coinvolto, insieme ad imprenditori e professionisti, anche assessori e consiglieri regionali. Ma parla – e molto – della sua vita maledetta vissuta pericolosamente sulla punta di una lama. In 12 anni di militanza nella ‘ndrangheta Rocco Varacalli “ha avuto la possibilità di conoscere numerosissimi affiliati alla compagine e ha intrattenuto con loro in via continuativa contatti e relazioni, anche nei periodi di detenzione carceraria. Ha appreso grado, ruolo, attitudini, caratteri, insomma quanto tutto c’era da conoscere sugli affiliati”. Ritenuto attendibile dagli inquirenti, Varacalli ha permesso con le sue confessioni di mettere allo scoperto traffici internazionali di droga nonché tutto il malaffare che stava dietro agli appalti – tra gli altri – dei cantieri dell’alta velocità, delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, del centro commerciale Le Gru di Gugliasco. La testimonianza di Varacalli – riconosce Federico Monga – ha alzato il velo su un’organizzazione criminale che ha nel suo dna l’esigenza di nascondersi, di non dare mai nell’occhio, di mimetizzarsi tra le villette a schiera dei quartieri residenziali delle grandi città e dei paesi di provincia. Forse proprio per questo è riuscita a penetrare così in profondità nel tessuto imprenditoriale e politico del Nord riuscendo al tempo stesso a rendersi invisibile. Al punto che fino a qualche anno fa pochi credevano alla sua esistenza. Rocco Varacalli, a parte la sua apprezzabile scelta di uscire fuori dalla famiglia della ‘Ndrangheta, rimane, tuttavia, uno strano personaggio, dalla complessa personalità, con una vita privata quasi travagliata quanto quella da fuorilegge. Da quando volontariamente ha abbandonato il programma di protezione ha continuato a delinquere in furti e rapine ed oggi si trova detenuto nel penitenziario di Torino accusato di essere il mandante dell’omicidio di un pastore sardo. Ma di questo assassinio lui si proclama innocente.