di Vittorio Pezzuto
Poche ore dopo essere stato eletto presidente del Senato, Pietro Grasso annunciò che si sarebbe ancora occupato di giustizia. E nonostante i funzionari di Palazzo Madama gli avessero opportunamente ricordato che la materia non rientra affatto tra le competenze della seconda carica dello Stato, l’ex procuratore generale antimafia aveva dimostrato ancora qualche comprensibile difficoltà a dismettere improvvisamente i panni da magistrato che aveva ininterrottamente indossato fin dal lontano 1969. Solo così si può spiegare la sua decisione – controproducente sotto il profilo istituzionale – di scendere nell’agone televisivo per replicare piccato alle dichiarazioni malmostose di un giornalista che lo aveva accusato di aver ottenuto dal governo di centrodestra leggi ad hoc per “far fuori” Giancarlo Caselli e spianargli appunto la nomina a numero uno dell’antimafia.
Pigrizie istituzionali
Proprio tenuto conto del suo bagaglio culturale e professionale, molti osservatori avevano immaginato che il presidente di Palazzo Madama si sarebbe però attivato per pungolare i partiti affinché approvassero al più presto la legge istitutiva della commissione d’inchiesta Antimafia. Così invece non è stato. Solo lo scorso 9 maggio Grasso ha auspicato «che il Parlamento, qualora approvi i disegni di legge già presentati per istituire la Commissione Antimafia, possa estenderne le competenze anche ad altre stragi di qualsiasi estrazione rimaste irrisolte». Davvero un po’ troppo poco per scuotere i gruppi parlamentari dalla loro pigrizia. E infatti soltanto martedì scorso la Commissione Affari costituzionali della Camera ha iniziato a lavorare sulle due proposte di legge che all’inizio della legislatura sono state presentate in questo senso da Laura Garavini (Pd) e Gennaro Migliore (Sel).
È pur vero che non mancano attenuanti per giustificare questo ritardo: il lavoro delle commissioni permanenti di Montecitorio e Palazzo Madama è iniziato da appena tre settimane e gli stessi precedenti parlamentari testimoniano come l’istituzione dell’Antimafia non sia mai stata percepita come una vera priorità.
Tanto che nella scorsa legislatura ci sono voluti quasi quattro mesi per approvare la legge 4 agosto 2008 n. 132 e i commissari avevano poi aspettato l’11 novembre dello stesso anno per riunirsi a Palazzo San Macuto ed eleggere come loro presidente Beppe Pisanu.
Ma proprio per questo occorrerebbe mettersi finalmente d’accordo sulla reale necessità di far risorgere, legislatura dopo legislatura, questo strumento d’inchiesta. Delle due l’una: o si tratta di un organismo burocratico che arricchisce i curricula dei suoi membri con una vistosa medaglietta da professionista dell’antimafia e che certifica come lo Stato sia costretto a convivere con un fenomeno sempre più potente e ramificato (la “linea della palma” denunciata a suo tempo da Leonardo Sciascia è ormai salita dalla Sicilia fino al Brennero); oppure si tratta davvero di un prezioso sostegno all’attività svolta sul campo dalla magistratura e dalle forze dell’ordine ma allora i tempi del suo insediamento non possono procedere per inerzia: la mafia non aspetta e i suoi affiliati non lavorano dal martedì al giovedì come i parlamentari.
Palazzo San Macuto resta vuoto
La lentezza continua infatti a essere una costante di questo Parlamento e gli stessi presidenti Grasso e Boldrini sembrano essersi dimenticati di aver promesso lo scorso 19 marzo «una più alta produttività delle Camere. Le ore di lavoro devono passare da 48 a 96, lavorando dal lunedì al venerdì. E si potrebbe fare anche di più». Campa cavallo.
Molto è già stato scritto sul ritardo nella costituzione di altre due importanti commissioni bicamerali come il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) e la Commissione di vigilanza della Rai Tv. Ma nella stessa situazione si trovano anche tutti gli altri organismi bicamerali di indirizzo, vigilanza e controllo: la Commissione di vigilanza sull’anagrafe tributaria, la Commissione per l’infanzia e l’adolescenza, la Commissione di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale nonché il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d’immigrazione. Uno stallo insistito che si deve innanzitutto alla mancata designazione dei loro membri da parte di diversi gruppi parlamentari (Pd, Scelta Civica, Fratelli d’Italia e in parte Pdl) e che trova il suo motivo principale nel mancato accordo sui candidati alle presidenze. A riprova che nome e appartenenza politica di questi ultimi contano nel Palazzo decisamente più delle funzioni di tali organismi.