Al Senato sì, alla Camera no. Ne sanno qualcosa Michele Vietti ed Enrico La Loggia. I due ex deputati, il primo dell’Udc e il secondo di Forza Italia, si sono visti rigettare dagli organi della giurisdizione interna di Montecitorio, sia in primo che in secondo grado, i rispettivi ricorsi. Con i quali chiedevano, in sostanza, che gli fosse riconosciuto il diritto ad incassare il vitalizio nel periodo in cui svolgevano altre funzioni. Quelle di vice presidente del Csm (Vietti) e di componente del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti (La Loggia). Un buco nell’acqua in entrambi i casi.
DUE PESI E DUE MISURE – E’ andata decisamente meglio, e per un caso molto simile, come raccontato di recente dal Fatto Quotidiano, all’attuale presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che è riuscita a farsi riconoscere dal Consiglio di garanzia, organo di secondo grado di Palazzo Madama nelle vertenze tra ex senatori e l’amministrazione, i circa tre anni e mezzo di vitalizio arretrato che le era stato sospeso durante il mandato di componente del Consiglio superiore della magistratura, espletato dal settembre 2014 fino all’elezione allo scranno della seconda carica dello Stato il 24 marzo di quest’anno. Una decisione arrivata lo scorso settembre quando, peraltro, a Montecitorio era già stata adottata la delibera del presidente Roberto Fico per il ricalcolo retroattivo dei vitalizi parlamentari a partire dal primo gennaio del 2019 e che il Senato non ha ancora adottato (ma il traguardo è imminente).
TANTI SOLDI IN BALLO – “Evidentemente anche la giustizia domestica non è uguale per tutti”, commenta Vietti, sentito da La Notizia. “Vicenda trattata in modo opposto da Camera e Senato, ne prendiamo atto”, gli fa eco La Loggia. Ma cosa chiedevano nel dettaglio i due ex parlamentari? Eletto vice presidente del Csm nel 2010, Vietti si era visto bloccare l’erogazione del vitalizio fino ad allora maturato (3.766 euro netti) in 4 legislature: dal ‘94 al ‘96 e poi dal 2001 al 2010. Un atto che l’ex deputato dell’Udc di Pierferdinando Casini aveva impugnato, lamentando “profili d’irragionevolezza e ingiustizia”. Tutto inutile, nonostante avesse suffragato il suo ricorso con illustri precedenti. Rimarcando come, dinanzi al giudice interno di Palazzo Madama, “in analoghe controversie concernenti tre ex senatori”, tra i quali quella intentata da Guido Calvi del Pd, fosse stata dichiarata “l’illegittimità della sospensione del relativo vitalizio in pendenza delle cariche di componente del Csm, del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa e del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti”. Carica, quest’ultima, rivestita dall’ex ministro (e parlamentare dal 1994 al 2013) La Loggia quando, pure lui senza fortuna, decise di presentare ricorso, al Consiglio di giurisdizione prima e al Collegio d’appello poi. Contro la decisione della Camera non solo di sospendergli il vitalizio di circa 5mila euro netti al mese (in attesa della sforbiciata della delibera Fico dal gennaio prossimo) per la durata del mandato al Consiglio di presidenza della Corte dei Conti (retribuito con uno stipendio di 6mila euro netti al mese) ma di chiedergli pure la restituzione delle somme già percepite dal momento della nomina alla nuova carica.