Chissà quanto vale tutto l’inchiostro sprecato da settimane per raccontarci di un Governo diviso e del ministro Tria in bilico nel tentativo di boicottare la prima manovra economica di M5S e Lega. Una montagna di piombo che non basta a colmare il 2,4% di deficit rispetto al Pil, ma pesa persino di più sulla credibilità di un sistema dell’informazione che quasi all’unisono ha provato a scavare un solco mortale tra le due forze su cui si regge l’Esecutivo. Alla fine di una giornata lunghissima, Di Maio e Salvini hanno chiuso invece un accordo che può iniziare a invertire la rotta verso il baratro imposta al nostro Paese. Le politiche dell’austerità, gli interventi minuscoli fatti col cacciavite, gli annunci di riforme pompose con dietro il topolino degli 80 euro non hanno saputo imprimere nessuno sprint alla produzione e ai consumi, con il risultato di farci perdere anni eccezionali, in cui i nostri competitor si sono molto rafforzati sfruttando meglio di noi l’immissione di liquidità monetaria della Banca centrale europea e i tassi straordinariamente bassi applicati da tutte le banche centrali del mondo. Solo grazie a questi fattori esterni siamo riusciti a prendere un po’ di fiato, risalendo sulla scala del Pil nazionale da un pericoloso -2,2% al +1,5% dell’anno scorso. Il Pd che ha governato negli ultimi anni si è giocato orgogliosamente questo risultato alle elezioni, prendendo però una batosta che l’ha portato ai minimi storici.
Segno tangibile come nessun altro che gli italiani hanno bisogno di una ripresa economica ben più robusta, e per questo si attendono un cambio di passo radicale rispetto alle vecchie politiche per la crescita. Una prospettiva che i Cinque Stelle e la Lega hanno saputo dare insieme a una speranza di cambiamento che adesso non poteva essere messo in pericolo né dai vincoli di bilancio dell’Europa, né da Tria semmai il ministro avesse veramente voluto remare contro uno schema che ha condiviso prima di accettare l’incarico di responsabile per l’Economia e Finanze. Con questa manovra, diciamolo subito, non vedremo volare il Pil come avviene negli Stati Uniti di Trump o nella Germania della Merkel, ma perlomeno si inizierà a mettere benzina nel motore di un Paese dove troppe persone sono state lasciate indietro e per questo hanno perso ogni prospettiva di futuro.
Torna la fiducia – Un gesto d’amore e di fiducia verso i giovani che non hanno sostegno mentre cercano lavoro. Non un assegno in bianco a una generazione di sdraiati, ma una leva perché ci si metta in piedi e si provi a entrare in un mercato del lavoro dove ci sarà più posto. A liberare gli spazi saranno quei dipendenti che oggi vengono costretti a restare in servizio pure a un’età in cui è chiaro che rendono poco. Con il superamento della legge Fornero si firma una pace sociale tra giovani e anziani che non ha prezzo per le ricadute sul futuro del Paese. C’è poi la possibilità di rimettere in corsa chi ha mancato gli appuntamenti con il Fisco. Una scelta che per molti non ha avuto alternativa, a causa di una crisi che non può mettere sullo stesso piano chi si è limitato a sopravvivere (o in molti casi a far vivere i propri dipendenti) e chi ha evaso per far fesso lo Stato. Tutte misure – insieme alle altre che illustriamo negli articoli accanto – che nessun italiano con onestà intellettuale può definire sbagliate, e che non dovrebbero scatenare la contraerea dell’Europa e dei mercati. In fondo la maggiore flessibilità richiesta sul deficit (2,4% rispetto al vincolo dell’1,6%) non cambia di quasi nulla le speranze di veder restituito prima o poi il nostro debito pubblico, mentre così ci si offre una possibilità concreta di rimetterci in marcia verso una ripresa che è garanzia di equità e benessere non solo per l’Italia ma per l’intera Europa.