È una storia che getta un’ombra profonda sull’Italia quella che arriva dal Guatemala, Paese dove gran parte dell’energia è prodotta da una società interamente controllata dall’Enel. Per alimentare la più importante centrale idroelettrica, a Palo Viejo, nel 2010 l’allora autonoma Enel Green Power ha costruito un canale di 26 km che metterebbe a rischio la vita di operai e abitanti delle zone attraversate. Un’opera di alta ingegneria sulla quale è in atto al tribunale di Roma un contenzioso economico tra la multinazionale guidata da Francesco Starace e il costruttore, la Ilesa, un’azienda anch’essa italiana. Di tutto questo però ai residenti lungo le rive del fiume Cotzal, nelle regioni di El Quiche e Alta Verapaz, sanno poco o nulla. L’area è notoriamente molto povera e i terreni sono controllati da gruppi che agiscono con sistemi paramilitari. Enel ha pagato diversi milioni alle comunità locali per fare accettare il canale, subendo pure lo strano incidente di un sindaco che scappò con la cassa destinata a costruire una scuola. Nel 2012 l’infrastruttura si è comunque ultimata, con un costo vicino ai 280 milioni di dollari. Un investimento che valeva la candela, perché l’impianto di Palo Viejo quando funziona può produrre energia per 80mila dollari al giorno. Una manna dal cielo che però dura poco.
Percorso accidentato – Molto presto infatti il canale mostra alcuni problemi, fino al verificarsi di due catastrofiche frane, lunghe diversi chilometri. Per Enel si è trattato dell’effetto di due distinti periodi di piogge eccezionali, come in realtà sono frequenti in quella parte del mondo. Per l’impresa italiana invece la colpa è del progetto. Aver costruito il canale a mezza costa, cioè poggiato su un lato delle montagne, sta facendo venire a valle ogni cosa, mettendo in serio pericolo tutta la gente che lavora nelle sottostanti piantagioni di caffè. Dopo queste frane l’Enel ha dovuto comunque interrompere il flusso d’acqua nel canale, chiedendo all’impresa costruttrice di realizzare i necessari lavori di ripristino. Nel frattempo la società elettrica non ha subito un particolare danno economico, perché ha potuto riscuotere un indennizzo dalle assicurazioni. La Ilesa ha però subito scritto che eseguire i lavori come chiesto dal committente sarebbe stato molto pericolo per gli operai, ottenendo da Enel l’autorizzazione a fermarsi, fino a un successivo ordine di servizio dell’ing. Gerardo Carmona, che il 30 novembre dell’anno scorso imponeva di far ripartire in ogni caso il cantiere. La Ilesa rispondeva chiedendo di aggiungere almeno dei puntelli (con il relativo costo), ottenendo un nuovo ordine che ha portato all’interruzione del rapporto e adesso a un arbitrato internazionale, oltre alla causa civile pendente nella Capitale, dove con una procedura inconsueta è chiamato a rispondere personalmente anche il responsabile della Direzione ingegneria nel mondo, l’ing. Luca Rossini. La Notizia ha chiesto chiarimenti all’Enel, ottenendo un secco rigetto di tutte le tesi dell’impresa italiana, a partire da quella di aver mai messo in pericolo la vita degli operai e della popolazione locale. È vero che il canale necessita adesso di lavori stimati in una trentina di milioni, ma questo è solo il risultato di imprevedibili fenomeni atmosferici. Nel frattempo in Guatemala il cantiere è bloccato e a quanto risulta da una denuncia penale presentata in loco dalla Ilesa, sarebbero spariti alcuni mezzi meccanici e i propri dipendenti sarebbero stati minacciati di morte.
Dibba dov’è? – La vicenda ovviamente è diventata molto nota nel Paese sud americano, tanto da essere un problema anche per l’ambasciata italiana, per via delle crescenti preoccupazioni dei residenti lungo il canale, che temono di restare coinvolti da nuove frane. Per questo in alcuni ambienti vicini ai Cinque Stelle si sta storcendo il naso, dato che in Guatemala sta girando in lungo e in largo Alessandro Di Battista, uno dei leader più riconosciuti nel Movimento. Nei suoi interventi in tv, in più occasioni, l’ex deputato non ha mai fatto riferimento all’allarme suscitato dalla multinazionale italiana, non contribuendo così a far conoscere nel nostro Paese una situazione quanto meno imbarazzante. Enel intanto getta acqua sul fuoco, e al nostro giornale conferma di essere pronta a sostenere le sue ragioni nelle sedi giudiziarie competenti, riducendo tutta la faccenda a una disputa con il costruttore che ha cercato di farsi assegnare (e pagare) dei lavori aggiuntivi. Il problema della sicurezza in quell’area è però un dato di fatto, di fronte al quale suonano beffarde le parole pronunciate solo due giorni fa dalla presidente Patrizia Grieco a proposito dei manager moderni, ai quali serve un nuovo “umanesimo”.