di Francesco Nardi
Poteva bastare al Partito democratico la clamorosa serie di autogoal in cui si è prodotto dal novembre dello scorso anno fino ad oggi?
Evidentemente no, non bastava. Ci hanno pensato allora il presidente dei Senatori, Luigi Zanda, e Anna finocchiaro presentando un disegno di legge che in buona sostanza prevederebbe, se approvato, il divieto per i movimenti politici non registrati di presentarsi alle elezioni.
La proposta, che di fatto impedirebbe a tutte le associazioni senza personalità giuridica e senza uno statuto pubblicato in Gazzetta Ufficiale di candidarsi a qualsiasi livello alle elezioni, ovviamente ha alimentato una fitta polemica e che ora i due primi firmatari fanno una certa fatica a respingere.
Una norma del genere metterebbe infatti fuori gioco il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, cioè la vera sorpresa dell’ultimo voto e terza forza politica del Paese, che di conseguenza si troverebbe costretto a una corposa riforma interna e alla negazione del suo stesso principio ispiratore: quello cioè di non essere ne voler diventare un partito politico di stampo tradizionale.
Zanda e Finocchiaro però non ci stanno a vedere definita la loro proposta come una “manovra anti-Grillo” e, evidentemente preparati alla polemica che si è generato, hanno spiegato che questa muove dalla necessità di obbligare i movimenti ad uniformarsi ai precetti di democraticità interna previsti dalla Costituziona repubblicana all’articolo 49.
Il problema, questo è innegabile, effettivamente esiste, perché, a prescindere dall’eclatante caso del M5S, il rischio che nei movimenti, proprio per la mancanza di rigide norme interne, la discrezionalità dei vertici possa non trovare argini è reale.
E’ anche vero però che le norme interne che regolano i partiti tradizionali sembrano esser state storicamente scritte per esser modificate ogni qual volta rappresentano un limite.
E’ difficile infatti estrarre un principio di coerenza politica dai frequenti richiami dei vertici dei partiti alla pratica della democrazia interna, specie se si confrontano con la disinibita interpretazione che sovente viene assegnata a quelle stesse norme.
Basti pensare, a questo proposito, alla facoltà di deroga che lo statuto del Pd ha previsto a proposito del limite delle tre legislature per i suoi candidati. Deroghe sulle quali si è poi esercitato un creativo intervento intepretativo in pendenza delle ultime elezioni politiche.
Per evitare l’accusa di un complotto ai danni dei grillini tra i nove punti del ddl spunta anche la previsione di più rigidi paletti per accedere ai rimborsi elettorali. Un tema, quest’ultimo, che allontanerebbe i sospetti, sempre che questi non fossero ben sostenuti dal resto del disegno di legge. La prescrizione di indicare obbligatoriamente i propri organi dirigenti e le realtive funzioni, per esempio, sembra cucita su misura sul comico genovese e il suo sodale Casaleggio. Così come anche sembra coincidere alla perfezione la designata necessità, per i movimenti che volessero presentarsi alle elezioni, di dotarsi di un collegio sindacale composto da revisori dei conti e l’attribuzione a una società di revisione iscritta all’albo speciale che certifichi i bilanci e garantire la massima trasparenza, anche su internet.
Ecco, proprio quest’ultima notazione “anche su internet” potrebbe passare per un formalismo dettato dalle nuove esigenze di pubblicità degli atti, ma a molti è invece sembrata la foglia di fico che svela l’inequivoca volontà di colpire il M5S.
Al di la del merito, del quale si potrebbe anche serenamente discutere, bisogna ammettere che l’iniziativa del capogruppo piddino al Senato e della sua collega presidente della Comissione Affari Costituzionali appare quanto meno inopportuna sul piano politico. Tutta l’operazione ricorda infatti molto da vicino la decisione che venne assunta alla vigilia delle primarie del centrosinistra, laddove infuocate polemiche sorsero a causa delle limitazioni per l’accesso al voto cha a tantissimi sembrarono assolutamente pretestuose. Vero è, come ci ha tenuto a specificare Anna Finocchiaro, che l’interpretazione secondo la quale il Pd avrebbe presentato la legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione sui partiti per bloccare e andare contro i ‘movimenti’ può essere letta come una forzatura deformante, tuttavia è difficile comprendere come nella composizione dell’agenda questo tema possa esser stato avvertito come prioritario rispetto a molti altri che sono inequivocabilmente di strettissima urgenza.
Ad ogni modo a Grillo ancora una volta è stata servita su un piatto d’argento l’occasione per alzare i toni dello scontro e soprattutto per ricompattare i suoi, tra i quali ultiamente si era registrata qualche difficoltà.
«Non siamo un partito e non possono costringerci ad esserlo» ha tuonato il leader dal suo blog. E di tono molto più acceso sono i commenti della base che immediatamente si sono scatenati sul web. Forse anche un po’ ingrati, considerato l’altruismo con il quale si dedica il Partito democratico alla sua missione: aiutare in ogni modo i suoi avversari.