L’intenzione del Governo pare essere molto chiara: revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia. La società, controllata per il 100% dalla holding Atlantia (in pratica, la famiglia Benetton), gode da anni di un trattamento certamente vantaggioso, tanto che “in più occasioni e in varie sedi istituzionali, sono state evidenziate alcune criticità inerenti all’aspetto disciplinare in essere”. A sottolineare tale iniquità è stata, in tempi non sospetti, la Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradale del ministero dei Trasporti. È lo scorso settembre quando i tecnici ministeriali redigono un dettagliato rapporto relativo ai rapporti tra concessionari autostradali e Stato. Da quel documento veniamo a sapere che la rete autostradale a pedaggio data in concessione si sviluppa per 5.886,6 Km ed è gestita da 24 società. Autostrade per l’Italia, da sola, ha in gestione ben 2.857,5 km. In pratica la metà. Ma ciò che stupisce maggiormente è la durata delle concessioni. Praticamente infinite. Restando su Autostrade per l’Italia, per esempio, la società ha rinnovato il 29 maggio 2014 una convenzione con scadenza 31 dicembre 2038. Autocamionale della Cisa è concessionaria dal 12 novembre 2010 al 31 dicembre 2031. La società Rav – che sta per “raccordo autostradale della Valle D’Aosta” – ha stipulato la convenzione il 24 novembre 2010 e continuerà a gestire la tratta fino al 2033. La società autostrada Tirrenica, che arriva dal 1968, ha rinnovato il 28 giugno 2011 con scadenza 31 dicembre 2046.
Piatto ricco – C’è, poi, la parte relativa a costi e ricavi. Forse, se si può, ancora più sorprendente. Secondo la relazione, “il settore ha generato nel corso del 2016 (ultimo dato disponibile, ndr) un fatturato pari a 6.896 milioni di euro”. Quasi 7 miliardi. Di questi, 5.710 derivano dai pedaggi autostradali; 468 milioni, invece, sono altri ricavi della gestione autostradale, “comprensivi dei proventi da concessione sulle aree di servizio”. E di questo fatturato qual è la quota che viene ceduta allo Stato? Briciole. Tra concessione (che nella maggior parte dei casi è fissata al 2,4% dei pedaggi), sub concessione e integrazioni varie nel 2016 le società private hanno versato allo Stato 841 milioni (di cui 743 all’Anas). In pratica, sul fatturato complessivo parliamo del 12%. Nulla di più. Certo, si dirà, il fatturato tiene conto anche delle spese. Specie per manutenzione e investimenti. Andiamo, allora, a vederle. Partiamo dagli invesimenti. Il settore, si legge nella relazione, ha registrato un valore di spesa per investimenti nel 2016 pari a 1.064 milioni di euro, “registrando una riduzione di circa il 20% rispetto all’importo consuntivato l’esercizio precedente”. E per quanto riguarda la manutenzione? “Per l’anno 2016 il valore delle manutenzioni risulta pari a 646 milioni di euro, inferiore di circa il 7% rispetto a quello consuntivato nel 2015”.
Il dettaglio – A questo punto, però, è interessante andare a vedere nel dettaglio cosa dice la relazione su Autostrade per l’Italia. Nel dossier ministeriale emerge come i “compiti”, almeno sulla carta, la società guidata dall’Ad Giovanni Castellucci, li ha fatti: dal 2008 al 2016 Autostrade ha realizzato 2,57 miliardi di manutenzione, a fronte dei 2,47 previsti dal Piano economico finanziario (l’allegato, ancora secretato, della convenzione con lo Stato). La società invece risulta indietro sulla tabella di marcia rispetto alle spese per investimenti. In questo caso la spesa cumulata è pari a 8,32 miliardi di euro e si ferma all’84,31% del programma di attuazione. A fronte di tutto ciò, ci sono i guadagni. Dai bilanci della società risulta che nel periodo 2013-2017, l’azienda ha generato utili pari a 4,05 miliardi di euro, distribuendone 3,75 miliardi, pari a quasi il 93%, in dividendi all’azionista Atlantia e ai fondi esteri. E allo Stato? Briciole e nulla più. I costi per “canoni di concessione” ammontano, stando ai bilanci della società e alle relazioni del ministero delle Infrastrutture, a 417 milioni nel 2015, 431 nel 2016, 442 nel 2017.