di Andrea Koveos
La scure della spending review è arrivata ovunque, ma non ha scalfito la spesa del Ministero della Difesa. Per i prossimi tre anni questo dicastero aumenterà del 5,3% il suo budget. Vale a dire un miliardo di euro in più rispetto al 2012. Tutto questo nonostante il Governo Monti nei primi mesi di mandato abbia ridotto il costo dell’impegno militare italiano all’estero. La spesa militare nel nostro Paese, in rapporto al Prodotto interno lordo, equivale a 1.4%. Il dato è contestato dal dicastero della Difesa che dichiara, invece, solo lo 0.9%. Perché questa differenza?
Facile: lo 0,9% non comprende il costo delle missioni internazionali, circa un miliardo e mezzo di euro ascritte nel bilancio del Ministero dell’Economia, né i soldi necessari a comprare armi sofisticate inseriti nei conti dello Sviluppo economico. Costose macchine da guerra come le fregate Fremm (costo 6 miliardi di euro secondo “Altreconomia”) che di fatto non rientrano nelle competenze della Difesa.
Lo 0,9% corrisponde quindi, solo alle spese di personale, mentre le uscite – pur espressamente militari – sostenute da altri dicasteri non sono calcolate. La trasparenza sui conti sarebbe messa in discussione anche dall’istituto Sipri (Stockholm International Peace Research Institute). Come ricorda l’Archivio Disarmo i dati dell’Italia possono essere interpretati unicamente come stime, in quanto i bilanci della Difesa non sono assolutamente chiari, essendo divisi appunto su più ministeri. Anche i finanziamenti per le missioni di peacekeeping non fanno parte dei capitoli dei militari.
Per l’autorevole istituto internazionale, che analizza le spese belliche in tutto il mondo, l’Italia ha speso in media nel periodo che va dal 2005 al 2009, l’1.8 per cento del Pil. La somma nel 2012 ammonterebbe a 30 miliardi di euro, oltre 10 miliardi per 90 cacciabombardieri F35 e un miliardo e mezzo di euro per le missioni militari all’estero. Tutto questo, quando si tagliano le risorse per il welfare, la scuola, la sanità, gli enti locali.
Un trend che sembra essere confermato anche dai dati ufficiali diffusi dal Governo. Il ministero della Difesa, infatti, è riuscito ad aumentare il proprio budget nel prossimo triennio, passando dai 20 miliardi del 2012 ai 21 miliardi nel 2015. Il rigore generale applicato in quasi tutti gli altri dicasteri non è stato previsto per i “militari”.
Lo Sviluppo economico, infatti, ha subito una riduzione di più del 30% delle risorse (da 13,9 miliardi nel 2013 a 10 miliardi nel 2015); l’ Istruzione nel 2015 perderà circa 700 milioni di euro, mentre la Salute subirà un taglio di almeno 100 milioni di euro.
La voce che più di ogni altra pesa sul bilancio della Difesa è quella relativa al personale che assorbe ben il 70% dei costi. Stiamo parlando di 190mila soldati, la metà dei quali sono ufficiali e sottufficiali.
Le forze armate italiane contano anche 600 generali che impongono allo Stato un importante esborso economico. Una grande quantità di uomini al comando che ci pone ai primi posti in Europa. Per fare il paragone, l’esercito degli Stati Uniti che è almeno dieci volte superiore al nostro, conto solo 1.100 generali.
Eppure sulla riduzione dei costi dei ministeri il modello da seguire secondo le indicazioni del governo tecnico è molto chiaro: 50% personale, 25% operatività e 25% investimenti. Per il momento siamo ancora lontani dall’obiettivo che obbligherebbe il ministro Mauro a mandare a casa migliaia di dipendenti.
In questo senso la proposta avanzata dalla Rete Italiana per il Disarmo è quella di ridurre il personale di almeno 50 mila unità, avviando lì dove possibile prepensionamenti, prevedendo per le altre la possibilità di transitare, dopo una adeguata formazione, nelle forze di polizia o nella Protezione Civile. Oltre a coprire i costi degli stipendi, la Difesa rafforzerà anche gli investimenti, alcuni dei quali continuano a suscitare perplessità e aspre polemiche, come quelle sugli F35, i supercaccia bombardieri voluti anche dall’Italia che però, per stessa ammissione della casa produttrice, hanno riscontrato diversi problemi tecnici. Ma la casta dei militari comprende anche le potentissime aziende che producono armamenti che, diversamente da quanto accade per le altre imprese fornitrici dello Stato, sembrano godere di un grande privilegio.
Come l’anticipazione da parte delle banche, attraverso la garanzia dell’Amministrazione pubblica, dei pagamenti dovuti.