Non è solo un caso che, rispetto al 2014, anno in cui l’Italia (perlomeno fino alla fase a gironi) era presente ai Mondiali, i Mondiali di Russia 2018 stiano facendo registrare ascolti più alti: più 12% rispetto a quattro anni prima. Secondo studiosi e improvvisati sociologi, la ragione sarebbe da ritrovare nella possibilità, per l’italiano smarrito e senza squadra di riferimento, di seguire il campionato del mondo in maniera più oggettiva, non compromessa da quello splendido e appassionato tifo viscerale. Per altri, invece, il boom di ascolti sarebbe da imputare a una ragione più veritiera e attendibile: quello in corso è un Mondiale pieno di sorprese, con tanti colpi di scena, gare risolte all’ultimo minuto, stelle spente e giovani talenti che rubano la scena. In una sola parola, un Mondiale imprevedibile e già solo per questo da vedere. Fino al novantesimo e anche oltre, viste le tante partite che si sono risolte ai calci di rigore.
Chi sale e chi scende – Ma a questo punto vediamo chi sale e chi scende tra i giocatori in campo, chi i top e chi i flop (finora) di Russia 2018. Tra le stelle in ascesa, accanto a nomi su cui c’erano ben pochi dubbi come Neymar ed Harry Kane (primo nella classifica marcatori con 6 reti in 4 partite!) che stanno trascinando Brasile ed Inghilterra, non si può non partire da Kylian Mbappè: la sua prestazione contro l’Argentina è una di quelle per cui vale la pena spegnere tutto, andare da France Football e chiedere che venga assegnato il prossimo Pallone d’oro d’ufficio. Zero competizione. Specie perché le indiscutibili stelle del calcio mondiale, Leo Messi e Cristiano Ronaldo, hanno deciso di scendere in campo a questo Mondiale lasciando fantasia, qualità e la stessa voglia di fare la differenze nello spogliatoio. Sarà che in palio non ci sono gli stessi soldi che Barcellona e Real Madrid hanno offerto loro ora per il campionato ora per la Champions? Chissà. Certo è che il danaro brilla sempre un po’ di più rispetto ai colori della patria. Restano in tema di flop, una stella di (de)merito non può non andare al capitano della Spagna, Sergio Ramos. Per due ragioni: innanzitutto perché emblema di un ciclo ormai bello che concluso e nel peggiore dei modi se si pensa che è stata la non irresistibile Russia a mandare a casa le furie rosse; due perché Ramos ha dimostrato anche in questo Mondiale che proprio non ce la fa a stare senza irregolarità, falli gratuitamente cattivi e quella spocchia da celodurismo per cui si è fatto odiare in terra spagnola e non. In fatto di delusioni, posto d’onore anche per Joachim Low, ct della Germania. Qui la questione è differente: difficile dire se sia finito un ciclo. Ma non si capisce per quale ragione Low abbia lasciato in panchina tutti i giovani (da Antonio Rudiger a Julian Draxler) che pure aveva schierato in Confederetion Cup, arrivando a vincere il trofeo. Chi ha già vinto, invece, è l’allenatore dell’Uruguay, Oscar Tabarez. La sindrome di Guillan-Barrè lo costringe a stare spesso seduto e in piedi mai senza stampella. Ma quando segna la sua Celeste, anche se solo per un attimo riesce ad issarsi. In un Mondiale di uomini, il vero dio è lui.