di Nicoletta Appignani
Si dice che ogni problema sia temporaneo. Che tutto passa. E invece sono sempre meno le persone che ci credono, sempre di più le persone che ricorrono a una scelta tragica e definitiva: togliersi la vita. Le storie di alcuni di loro salgono agli onori della cronaca, quelle di altri invece rimangono nell’anonimato. Ma in Italia almeno una persona al giorno compie questo gesto estremo. O ci prova. Oppure ancora, rivolge la propria disperazione verso chi gli ha negato un finanziamento o magari verso il datore di lavoro. L’ultimo caso ieri all’alba: un duplice omicidio a Casate, nel Milanese, dove un 36enne, Davide Spadari, è entrato con la pistola in pugno in un bar e ha aperto il fuoco contro il suo ex datore di lavoro, Rocco Pratalotta di 47 anni, e il figlio Salvatore, appena 22enne. L’uomo, arrestato, ha spiegato ai carabinieri di essere stato licenziato la sera prima. Ma non è il primo episodio di questo genere. Appena due mesi fa nel Palazzo della Regione Umbria, un imprenditore aveva ucciso due impiegate dopo essersi visto negato un finanziamento. L’uomo ha poi rivolto l’arma verso se stesso e prima di togliersi la vita, ha detto: “Ne ho uccise due, non mi resta che suicidarmi”.
Vite spezzate
Ma la crisi continua a mordere e lascia il segno, portandosi via anche l’ultimo rifugio: la casa. Come è accaduto tre giorni fa al 64enne Giovanni Guarascio, ex muratore disoccupato, che pur di impedire che gli togliessero un tetto da sopra la testa, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Le fiamme però hanno raggiunto anche la figlia dell’uomo, la moglie, al momento in prognosi riservata, e due agenti di polizia, Marco Di Raimondo e Antonio Terranova, ricoverato con gravi ustioni al volto e alle braccia. Ma non basta, perché a solo un giorno di distanza un altro dramma si è consumato nel Vicentino, quando un 66enne si è gettato dal secondo piano della sua abitazione, durante l’esecuzione di un’ordinanza di sfratto. L’uomo, Galdino Dalla Barba, è andato in bagno, ha aperto la finestra e si è lanciato di sotto, precipitando nel cortile sottostante da un’altezza di quasi 9 metri. È morto all’ospedale poche ore dopo. E ancora, ieri, un uomo si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione, nel torinese, perchè non lavorava da un anno e aveva problemi economici.
Gesti disperati
E se in molti ci riescono, alcuni fortunatamente vengono salvati. Come è accaduto il 13 maggio a Poggio dell’Aglione, in provincia di Firenze. Un ennesimo tentativo di suicidio. Questa volta di un imprenditore 50enne, che ha provato a togliersi la vita collegando con un tubo la marmitta della sua auto all’abitacolo. L’uomo si è seduto e ha atteso ma, quando aveva già perso conoscenza, due persone si sono rese conto di quello che stava accadendo e gli hanno salvato la vita. Aveva lasciato nella vettura due biglietti, indirizzati alla madre e agli amici.
Episodi in aumento
Secondo i dati resi noti dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, negli ultimi 4 anni i suicidi dovuti a motivazioni economiche sono aumentati del 20-30%. Storie tragiche che non riguardano una fascia d’età specifica, con casi che coinvolgono soprattutto uomini tra i 25 e i 69 anni. Pagine di cronaca che non parlano soltanto di disoccupati o di imprenditori. Le vittime della crisi sono ovunque, sono sole o hanno amici, sono padri, madri, mariti, mogli. Sono persone strozzate dai debiti, che non riescono più ad andare avanti, che non vogliono vivere per sopravvivere. Anzi, per tentare di sopravvivere. E la colpa spesso viene data allo Stato. Come per il caso di Civitanova Marche, dove due coniugi lo scorso 5 aprile si sono impiccati. Una tragedia doppia, perché alla scoperta dei cadaveri, il fratello della donna si è a sua volta suicidato. “La colpa è dello Stato” ha tuonato la folla ai funerali. Ma oggi questo è un dramma sociale davanti al quale la tentazione dell’abitudine come lenitivo dell’angoscia è forte. Un fatto “normale”, il suicidio, da ascoltare o leggere distrattamente. Invece no. Perché questa è la mattanza della crisi economica. Bisognerebbe capire come uscirne. Non rassegnarsi e commentare “Ce n’è uno al giorno”.