L'Editoriale

Bonafede tra giudici e politica

Alfonso Bonafede ha annunciato: i giudici sono liberi di candidarsi alle elezioni ma poi, concluso l’incarico, non possono più indossare la stessa toga

Buone notizie dal fronte Italia. Non allarmatevi, non abbiamo perso la ragione (speriamo) e vediamo bene l’economia in frenata, un numero mai visto di poveri, i migranti che neppure l’Europa sa più dove mettere e questo Paese talmente stanco da non aspettare altro che di andare in vacanza. Ma in un tale contesto, ieri si è aperta la strada a una di quelle riforme a costo zero con cui la fiducia, gli investimenti, il lavoro e tanto altro possono ripartire davvero. A lanciare il sasso nello stagno nello stagno è stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che al Csm – cioè nella tana del lupo – ha annunciato una norma tanto di buon senso da non essere mai stata adottata prima: i giudici sono liberi di candidarsi alle elezioni ma poi, una volta concluso l’incarico politico, non possono più indossare la stessa toga. Questa novità, che a qualcuno può sembrare di poco conto, in realtà è il primo passo per ricostituire un terreno di fiducia e collaborazione tra due poteri dello Stato che da troppi anni fanno a cazzotti, col risultato di alimentare un clima di diffidenza verso l’imparzialità, l’autonomia e la terzietà della magistratura, frenare le riforme strutturali e rappresentare anche all’estero un pericolo per chi vuole investire in Italia, vista la paura che fanno i giudici e l’inefficacia delle promesse che fanno i politici. Ora ovviamente tra il dire e il fare Bonafede troverà mille ostacoli. Anche perché la toga non dovrebbe rimetterla neppure il magistrato che si è candidato in politica e non è stato eletto. Ma una strada è indicata. E visto quant’è scivoloso questo terreno, non è poco.