Sarebbe bene leggerle le 288 pagine dell’ordinanza che chiude la partita sullo stadio della Roma. Nelle intercettazioni della Procura c’è un concentrato dell’intrallazzo Capitale. Palazzinari che pagano per pilotare politici e burocrazia, consulenti che si spartiscono mazzette, esponenti di partito perennemente col cappello in mano: un film già visto, dove l’unica novità è che stavolta gli schizzi di fango arrivano pure ai 5 Stelle. Il presidente dell’Acea Lanzalone, finito agli arresti e di cui ieri il Campidoglio ha atteso invano le dimissioni, ha svolto attività professionali inconciliabili con il ruolo “politico” derivante dalla sua nomina decisa dalla Raggi. Più sfumata la posizione del capogruppo M5S al Comune, Paolo Ferrara, indagato per aver ottenuto gratuitamente dal costruttore Parnasi un progetto di riqualificazione del lungomare di Ostia: un’utilità non certo di carattere personale. Questo non assolve il Movimento da una certa dose di responsabilità, anche per aver prestato il fianco a un sistema che partendo dalle consulenze e dai favori arrivava presto alla corruzione, ma obbliga a scindere le posizioni, a meno di voler mischiare tutto sommariamente nel solito tritacarne giustizialista. Un epilogo che l’ala forcaiola dei 5 Stelle ha invocato in molti casi anche a sproposito, mentre questa vicenda dimostra come non mai l’esigenza di non fare di tutta l’erba un fascio, spedendo all’inferno insieme a pochi casi migliaia di persone che non rinuncerebbero per nulla al mondo alla loro promessa di onestà.
L'Editoriale