Insostenibile per l’Italia, visti i costi da sopportare e il business connesso, alimentato da fondi pubblici nazionali spesso gestiti con poca trasparenza e permeabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata. È il quadro del fenomeno che emerge dal contratto M5S-Lega, che dedica tre pagine al tema. Nel testo si parla di vero e proprio fallimento dell’attuale sistema, auspicando la riduzione della pressione dei flussi sulle frontiere esterne e del conseguente traffico di esseri umani e una verifica delle missioni europee nel Mediterraneo. Per il nuovo governo, inoltre, è necessario il superamento del Regolamento di Dublino, che impone al Paese di prima accoglienza di farsi carico dei richiedenti asilo e, di conseguenza, si punta al ricollocamento obbligatorio e automatico dei richiedenti asilo tra gli Stati membri dell’Ue, in base a parametri oggettivi e quantificabili (di cui nel contratto non c’è traccia) e con il reindirizzo delle domande di asilo verso altri Paesi. l’accelerazione dell’iter di verifica dello status di rifugiato, la revisione dell’attuale sistema di affidamento a privati dei centri. Occorre poi creare almeno un Centro di permanenza per il rimpatrio in ogni regione. Cosa peraltro prevista dal decreto Minniti dello scorso anno: ma ad ora sono soltanto 5 attivi (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta), per poche centinaia di posti rispetto ai complessivi 1.600 previsti a regime. Altre strutture sono state individuate (da Iglesias a Bologna, da Potenza a Santa Maria Capua Vetere), ma non avviate. Due Regioni, Toscana e Veneto, hanno detto no ai Cpr.
Per Lega e Cinque Stelle i fondi stanziati per l’accoglienza costituiscono un elemento di attrazione per la criminalità. Per questo è necessario dare trasparenza alla gestione dei fondi pubblici destinati al sistema di accoglienza, così da eliminare l’infiltrazione della criminalità organizzata. Per raggiungere questo obiettivo, si deve superare l’attuale sistema di affidamento a privati dei centri e puntare ad un maggiore coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, a cominciare da quelle territoriali, affidando la gestione dei centri stessi alle regioni. In quest’ottica, appare imprescindibile scardinare il business degli scafisti che ha causato sbarchi e morti nel mar Mediterraneo. “Indifferibile e prioritaria” viene definita una “seria ed efficace politica dei rimpatri”, visto i “500 mila migranti irregolari presenti sul nostro territorio”. Politica che passa anche dall’allungamento dei tempi di permanenza nei Cpr dagli attuali 90 giorni a 18 mesi, come ai tempi di Roberto Maroni ministro dell’Interno.
Le cifre attuali dei rimpatri sembrano lontane dagli ambiziosi obiettivi del contratto: nel 2017 sono stati 6.514 i migranti trovati in posizione irregolare sul territorio nazionale e rimpatriati. Altri 11.805 sono stati respinti alla frontiera e 1.639 riammessi nei Paesi di provenienza. Complessivamente, dei circa 45.000 trovati in posizione irregolare nel 2017, in 25.000 non sono stati rimandati nei Paesi di provenienza. Due i nodi che impediscono il ricorso più massiccio allo strumento del rimpatrio: il costo (si parla in media di 1.200-1.300 euro a straniero cui vanno aggiunti i costi per il personale di polizia che deve accompagnarlo e che portano a triplicare la cifra finale); l’accordo con i Paesi di origine; l’Italia ha siglato intese per i rimpatri con Tunisia, Egitto, Nigeria, Sudan e Gambia.
Una battuta finale spetta poi all’Islam: il neo governo punta all’istituzione di un registro dei ministri di culto e alla tracciabilità dei finanziamenti per la costruzione delle moschee e, in generale, dei luoghi di culto. Inoltre mira all chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali, di moschee e di luoghi di culto che risultino irregolari.