Ieri i click sul computer per i 5 Stelle, oggi e domani i banchetti della Lega. Il nuovo bon ton della democrazia impone che qualche decimale dei milioni di elettori dei partiti decidano per tutti. I cittadini si sentono più coinvolti e i leader più forti. In realtà i primi fanno solo da spettatori ai militanti che ratificano gli accordi dei leader, mentre questi ultimi per il solo fatto di doversi sottoporre alla controprova delle loro scelte riconoscono di avere un’autonomia sempre più limitata. C’è chi sostiene che uno dei problemi di questa epoca in Europa sia la carenza di leadership forti. Un vuoto che fa persino della Merkel e Macron, per non parlare di Juncker, dei nani di fronte a uomini forti come Trump e Putin. In questo scenario tra breve qualcuno si degnerà di telefonare a Mattarella per comunicargli il nome scelto da M5S e Lega come premier. Visto che la staffetta tra Di Maio e Salvini non si può fare per reciproca mancanza di fiducia sul rispetto degli accordi (ne ricordiamo un’altra promessa tra Craxi e De Mita, finita con il Dc che ancora aspetta il suo turno), alla fine uscirà un nome di compromesso. Un leader non leader, insomma, come è stato con Gentiloni, spedito a Palazzo Chigi da Renzi per scaldargli il posto – nelle intenzioni – giusto qualche mese. Poi sappiamo come è andata a finire. Perciò il nuovo Governo rischia di partire già zoppicante, a meno di vedere indicata non una figura di mera garanzia ma un personaggio con tale autorevolezza e libertà d’azione da poter battere i pugni come serve sui tavoli che contano.
L'Editoriale
Non dateci un leader di cartapesta
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