Non solo le grandi imprese strategiche del Paese. Nel mirino del capitale straniero c’è anche il know-how delle startup nazionali. Lo mettono nero su bianco i servizi segreti italiani nell’ultima relazione al Parlamento relativa al 2017. Lanciando l’allarme sulla “maggiore permeabilità di alcune aziende nazionali – di rilevanza strategica o ad elevato contenuto tecnologico – rispetto a manovre esterne indirizzate ad acquisirne il controllo”.
Pratiche scorrette – Il tutto “a fronte di iniziative acquisitive straniere di cui non appaiono sempre chiari i reali attori di riferimento”. Secondo la nostra intelligence sono andate intensificandosi “le manovre di attori esteri – sospettati di operare in raccordo con i rispettivi apparati intelligence – attivi nel perseguimento di strategie finalizzate ad occupare spazi crescenti di mercato anche attraverso pratiche scorrette, rapporti lobbistici, esautoramento o avvicendamento preordinato di manager e tecnici italiani, nonché ingerenze di carattere spionistico per l’acquisizione indebita di dati sensibili”. Un vero e proprio attacco passato quasi inosservato ma sul quale il senatore di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso, ha provato ad accendere i riflettori con un’interrogazione parlamentare. Con la quale, oltre a iniziative per la “salvaguardia delle capacità produttive nazionali”, ha chiesto ai ministri dello Sviluppo economico, dell’Economia, dell’Interno e degli Esteri, chiarimenti sui possibili connessioni tra la “strategia predatoria” cui è soggetto il nostro Paese e “azioni di politica estera e militare volta a delegittimare l’Italia nel contesto internazionale”. Urso non ha dubbi: “E’ in atto una palese azione di delegittimazione ai nostri danni iniziata dall’improvviso attacco contro la Libia e il regime di Gheddafi con pesanti conseguenze sul nostro tessuto industriale – spiega sentito da La Notizia -. Daltra parte, il rapporto dell’intelligence, dopo il calo demografico e l’alto rischio di conflitto sociale, indica al terzo posto tra le minacce del sistema Paese aspetti legati proprio alla politica industriale”.
Dal danno alla beffa – E non finisce qui. Il monitoraggio dei servizi segreti non si è limitato “al presidio dei settori strategici delle telecomunicazioni, dei servizi informatici e della difesa”. Ma ha riguardato anche anche “l’acquisizione di quote in piccole società (le cosiddette startup) caratterizzate da elevato know-how, al fine di rilevare eventuali interessi da parte di attori esterni, anche statuali, ad investire in tali aziende per avere accesso alla tecnologia da queste sviluppata e poterla replicare nei rispettivi Paesi”. Sotto osservazione, anche i mercati strategici, dalla chimica alla meccanica, “per poter individuare e scongiurare comportamenti lesivi degli interessi nazionali, a partire da strategie distorsive dei prezzi delle materie prime” e “tutelare la sicurezza dei trasporti marittimi internazionali, tanto delle materie prime dirette alle nostre imprese, quanto dei prodotti italiani venduti all’estero”. Una relazione, quella dell’intelligence, ancor più allarmante leggendone le risultanze congiuntamente ai dati dell’ultimo rapporto dell’Istat sulla struttura e la competitività delle multinazionali in Italia. Dal quale risulta, ricorda ancora Urso nell’interrogazione, che le imprese italiane acquisite da capitali stranieri non solo “licenziano il 18 per cento dei dipendenti nel primo anno”, ma “contribuiscono in modo negativo alla nostra bilancia commerciale”, alimentando “al 26,1 per cento” l’export nazionale di merci “a fronte del 45 per cento degli acquisti” dall’estero. E ciò per la tendenza delle imprese acquisite da capitali stranieri “a rifornirsi di materie prime e semicomponenti da aziende estere e non più dai tradizionali fornitori italiani”. Insomma, oltre al danno anche la beffa.