Oltre dieci miliardi di euro. Dopo il 2016, anche nel 2017 le autorizzazioni rilasciate dal Governo italiano per l’export di armamenti fanno registrare cifre colossali. Fa niente se poi i principali “clienti” del mercato armato made in Italy, contrariamente a quanto previsto dalla legge italiana, siano anche Paesi che non brillano per la tutela dei diritti umani, dittature o altri che conducono guerre non riconosciute dalle organizzazioni internazionali. In totale parliamo di esportazioni per 10,3 miliardi. “Il calo – spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete per il Disarmo – è di circa il 35% rispetto al 2016 (record storico grazie alla mega-commessa di aerei per il Kuwait) ma la presenza della commessa navale per il Qatar garantisce comunque un +35% rispetto al 2015 e una quadruplicazione delle licenze rispetto al 2014”. Il balzo, in effetti, è clamoroso: si è passati dai 2,6 miliardi del 2014 ai 10 dell’anno passato. Una crescita continua e ininterrotta, dunque, testimoniata anche dall’aumento del numero dei Paesi destinatari, in una sorta di spedita globalizzazione armata: erano 56 nel quinquennio 1991-95, 60 nel quinquennio 2001-2005, 72 nel quinquennio 2011-2015, ed infine siamo giunti al superamento recente del “muro” degli 80: 82 Stati nel 2016 e ben 86 nel 2017.
Pecunia non olet – Ma a questo punto entriamo nel dettaglio: chi sono i nostri acquirenti? Innanzitutto il Qatar, indicato da molti, Arabia Saudita in testa, come Paese sostenitore del terrorismo internazionale. E, forse, è proprio l’esempio dello Stato asiatico uno dei più emblematici: nonostante le gravi accuse, le autorizzazioni all’esportazione di armi sono passate da 341 milioni del 2016 a 4,2 miliardi dello scorso anno. Un bel balzo, non c’è che dire. Seguono Regno Unito (1,5 miliardi), Germania (689 milioni), Spagna (439), Usa (292), Turchia (266). Ma non è tutto. Come sottolinea ancora la Rete per il Disarmo, “i Paesi non appartenenti alla Ue o alla Nato sono destinatari del 57% del valore di autorizzazioni rilasciate nel corso del 2017 (circa 48% per i soli Paesi Mena, cioè del Medio Oriente e Nord Africa)”. E così, per dire, ci ritroviamo a vendere armi, bombe e munizioni ad Arabia Saudita (52 milioni), Kuwait (29), Emirati Arabi Uniti (2,9), “tutti Paesi impegnati nella sanguinosa guerra in corso in Yemen”, sottolinea Maurizio Simoncelli vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.
“Nonostante tre risoluzioni del Parlamento europeo abbiano ribadito la necessità di imporre un embargo sugli armamenti nei confronti dell’Arabia Saudita, in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario nell’ambito del conflitto in corso in Yemen – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche si sicurezza e difesa (Opal) – sono state autorizzate nuove esportazioni per un valore di circa 52 milioni di euro. La diminuzione nelle licenze non deve trarre in inganno: va infatti sottolineato come sia intanto proseguita la fornitura ai sauditi di quasi 20mila bombe aree del tipo MK derivante da licenze del valore di 411 milioni di euro che RWM Italia aveva già acquisito”.
Le banche armate – Non si può non parlare, infine, delle cosiddette “banche armate” (gli istituti di credito che mettono a disposizione proprio conti e sportelli per l’incasso dei pagamenti legati all’export militare): gli importi segnalati (ma, chiarisce la Rete per il Disarmo, dopo l’ultima riforma legislativa non c’è più obbligo autorizzativo) hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 4,8 miliardi (gli incassi erano 3,7 miliardi nel 2016). Oltre la metà è transitata per UniCredit (ben 2,8 miliardi) e altri importi consistenti sono quelli di Deutsche Bank (700 milioni), Bnp Paribas (252 milioni), Barclays Bank (210 milioni) e Intesa SanPaolo (137 milioni). Senza dimenticare la Banca Valsabbina (93 milioni), banca d’appoggio di Rwm Italia per l’esportazione di bombe aeree all’Arabia Saudita.
“Tutto questo – conclude Beretta – impone di riprendere con energia le iniziative promosse dalla Campagna di pressione alle “banche armate” al fine di monitorare con attenzione la corrispondenza delle attività delle banche rispetto agli impegni che si sono assunte negli anni scorsi”.
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