Il ritorno di Montezemolo. Ma non si capisce per dove
di Angelo Perfetti
L’ordine di scuderia è chiaro: non andare oltre a ciò che il leader ha vergato sulla home page del sito di Italia Futura. Ma di accelerazioni Montezemolo, nel suo editoriale 2.0 firmato insieme a Nicola Rossi, ne ha fatti: “al di fuori dei partiti”, “Italia Futura non vuole essere la corrente di nessuno”, “E’ una stagione costituente”. Tutto giusto, se non fosse che sono cose già sentite esattamente quattro anni fa, all’inizio dell’avventura del think tank che si è poi evoluta in vista delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 nell’entrata ufficiale in politica, che ha visto impegnato tutto il suo sistema organizzativo in favore della coalizione Con Monti per l’Italia, candidando propri esponenti nella lista Scelta Civica.
In mezzo al guado
unque per l’ennesima volta Italia Futura resta in mezzo al guado. Né di qua, completamente inserita in un partito ormai nell’arco costituzionale e pronta a sposarne gioie e dolori, né di là, con l’obiettivo di fondare un nuovo soggetto politico. “Non è in agenda la costituzione di un nuovo soggetto politico – spiega il professor Nicola Rossi – ma riteniamo necessario fare qualcosa che in questo Paese serve e che nessuno fa: tenere alta la voce sul rischio implosione che la situazione economica sta provocando. La torta si fa ogni giorno più piccola, non si ridistribuisce ciò che non c’è più”. Dunque per un’azione incisiva ci dobbiamo aspettare finalmente la scesa in campo di Montezemolo in qualità di leader che tiene in mano le redini di un progetto fortemente propositivo… “Non ricominciamo con un refrain che ci ha accompagnato per tempo e che abbiamo da poco superato. Si può fare politica anche al di fuori dei partiti”. Insomma fare Futuro resta con i suoi esponenti al governo ma si sente fuori dai partiti, promuove la necessità di importanti riforme istituzionali ma non crede di poterle interpretare con un nuovo soggetto politico, resta un think tank ma con l’ambizione di fare politica. E sceglie il 2.0 come simbolo di un nuovo corso, ma non ritiene questa scelta assimilabile a quella di Grillo.
La scelta telematica
“Internet – spiega il prof. Rossi – c’era prima di Grillo e ci sarà dopo. La nostra scelta va nella direzione di fare della partecipazione diretta degli associati, dei cittadini e dei territori alle attività dell’associazione il modo stesso di essere di Italia Futura”.
Sei mesi fa – scrivono Montezemolo e Rossi – Italia Futura ha messo se stessa, le sue donne ed i suoi uomini migliori, le sue risorse al servizio di un progetto politico. Lo ha fatto convinta che l’Italia potesse e dovesse mettersi alle spalle un ventennio il cui unico risultato tangibile è stato il progressivo impoverimento del Paese. Oggi l’Italia ha un nuovo Parlamento ed un nuovo Governo di cui l’espressione di quel progetto politico costituisce parte integrante. Un Governo, certo, frutto anche dello stallo elettorale ma pienamente consapevole della necessità di aprire una fase nuova della vita del Paese”. Italia Futura – scrive Montezemolo – che è nella politica, ma al di fuori dei partiti, e non è, non può essere, non vuole essere la “corrente” di nessun partito, è arrivato il momento di riprendere la strada maestra, tornando alla mission iniziale: promuovere il dibattito civile.
Il dilemma di Matteo Renzi, diventato sor Tentenna
di Vittorio Pezzuto
E adesso che fare? Dopo che la stagione politica del suo ex avversario Pier Luigi Bersani è stata archiviata per manifesto fallimento, a Matteo Renzi tocca infatti l’onere di una strategia convincente. Continuerà il sottile gioco di sponda da Firenze oppure si deciderà finalmente a tessere nel partito una rete dalla trama più fitta e robusta?
La deputata Simona Bonafè, che del Sindaco è una delle più fedeli alleate, ci conferma che «Matteo ha ripetuto in più occasioni di non essere interessato alla segreteria del partito. Questo però non significa disinteressarsene. Abbiamo la volontà di contribuire a una riflessione aperta e condivisa. E’ interesse di tutti che questo governo faccia le riforme, dandoci così il tempo necessario per riconnetterci con il nostro elettorato». Frasi che sfiorano la banalità. «Me ne rendo conto, ma qui si va avanti giorno per giorno. Epifani è stato eletto appena quattro giorni fa e sappiamo bene come nel nostro Paese gli scenari politici possano cambiare da una settimana all’altra». Sulla stessa (vaga) linea politica un altro renziano doc come il deputato Matteo Richetti: «Fare un’analisi diventa complicato, parlerei per dare aria ai denti. Aspettiamo e vediamo».
Cucina a fuoco lento
Matteo Renzi è il più efficace comunicatore di cui disponga la sinistra. Poche sue battute, strappate magari mentre va a ritirare i figli a scuola, valgono per i telespettatori più di una pensosa e monocorde banalità di Enrico Letta o di una dichiarazione sussiegosa concessa da Massimo D’Alema. Ma la politica è prima di tutto saper cucinare con gli ingredienti a disposizione. Senza sbagliare i tempi di cottura. Tutto dipende, quindi, dai prossimi mesi. Entro luglio vanno presentate le candidature alla segreteria in vista del congresso autunnale. Un appuntamento cruciale qualora la tenuta del duplex Letta-Alfano si esaurisca in tempo per poter tornare al voto nel febbraio 2014. In questo caso Renzi non potrebbe tergiversare oltre e gli toccherebbe affrontare una difficile sfida interna con il neosegretario Guglielmo Epifani. Personaggio assai stimato per capacità e tratto personale, l’ex segretario generale della Cgil potrebbe infatti rivelarsi un avversario davvero ostico e quindi esiziale per le sue ambizioni.
Ben altra storia potrebbe invece disegnarsi qualora il governo dell’inciucio traguardasse miracolosamente l’anno e mezzo di vita. In questo caso il rischio per il Sindaco sarebbe quello di un eccessivo logoramento che agli occhi smaliziati dell’opinione pubblica lo trasformerebbe in una sorta di sor Tentenna, costretto magari a indicare al suo posto Sergio Chiamparino quale leader del partito.
Vincere da perdente (e viceversa)
Renzi in fondo è vittima dei paradossi. Se l’intervento con il quale aveva ammesso la sconfitta alle primarie ne aveva fatto un personaggio vincente nel Paese, il successo colto opponendosi alla candidatura di Franco Marini a presidente della Repubblica («Un dispetto per il paese perché è un uomo del Novecento») ne ha invece ridimensionato la statura politica a uomo di fazione. Soprattutto quando come alternativa non ha esitato a proporre il nome di Romano Prodi, così giocandosi buona parte del vasto elettorato d’opinione di centrodestra.
Lui intanto continua a presentarsi in Consiglio comunale con la tenuta alla Fonzie già esibita negli studi televisivi di “Amici”: giubbotto di pelle nera e scarpe a punta. «Chi mi rimprovera questo abbigliamento forse si sente un po’ Ralph Malph» aveva replicato a suo tempo. Farebbe meglio a guardarsi dal Richie Cunningham di Palazzo Chigi: Enrico Letta sarà pelatino e vecchio dentro ma intanto potrebbe riuscirgli di sopravvivere come premier al governo della grande coalizione, proprio come Angela Merkel in Germania. E già che c’è si ricordi che Henry Franklin Winkler (l’attore che interpretava Fonzie) è rimasto imprigionato per sempre nell’unica parte che gli ha dato notorietà, macerando per decenni nella serie B del cinema. Mentre Ron Howard ha saputo emanciparsi alla svelta dal ruolo Richie Cunningham, affermandosi come uno dei più completi e abili registi di Hollywood e vincendo pure un Oscar per “A beautiful mind”. Proprio quella che manca tuttora al Partito Democratico.