Sull’asse sempre più saldo tra Carroccio e Movimento 5 Stelle va in archivio anche la pratica della Commissione speciale di Montecitorio. Che, come annunciato a reti unificate da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sarà guidata dal leghista Nicola Molteni, preferito in corsa al collega di partito Giancarlo Giorgetti. Il neo presidente sarà affiancato da Andrea Mandelli (Fi) e Giorgio Trizzino (M5S) nel ruolo di vice. E da due segretari: Vittorio Ferraresi (M5S) e Paolo Russo (Fi). Nessun incarico interno, invece, per il Partito democratico autoconfinatosi sull’Aventino.
Ma è certamente la rinuncia in corsa all’elezione di Giorgetti, attuale capogruppo a Montecitorio della Lega, a sorprendere di più. Un nome che, peraltro, nel Centrodestra davano di fatto per scontato. Fino alla telefonata d’intesa con Di Maio, al termine della quale Salvini ha deciso di cambiare le carte in tavola spiazzando ancora una volta gli alleati. Una mossa, quella del segretario del Carroccio, per nulla casuale. E che, stando ai conversari tra parlamentari nei Transatlantici di Camera e Senato, risponderebbe ad una precisa strategia. L’accelerazione che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, potrebbe imprimere alle consultazioni, fino a forzare il raggiungimento di un’intesa attraverso il conferimento di un pre-incarico, ha messo in allarme il quartier generale della Lega. In qualità di primo partito della coalizione di Centrodestra, quella che ha ottenuto più voti alle Politiche del 4 marzo, il timore è che il Capo dello Stato possa indicare proprio un esponente del Carroccio. E il sospettato numero uno non potrebbe che essere il suo leader. Un’ipotesi di cui Salvini non vuol sentire neppure parlare: accettare un pre-incarico con il rischio di tornare al Colle senza una maggioranza equivarrebbe a bruciarsi.
Tenere Giorgetti libero da incarichi di responsabilità istituzionale, quale sarebbe stata la presidenza della commissione speciale della Camera, lascia invece al leader della Lega un jolly da giocare qualora arrivasse la chiamata del Quirinale per la Lega. Una soluzione che, non solo consentirebbe a Salvini di restare in corsa per la partita del Governo, ma anche di guadagnare tempo. Sfruttando, magari, il mandato di Giorgetti per arrivare a fine mese. Incamerando il verdetto delle Regionali, in particolare in Friuli (dove si vota il 29) prima di fare ogni ulteriore mossa.
Non è un mistero, del resto, che tra i grillini in molti ritengano che il d-day sia proprio la data delle elezioni in Friuli. Un appuntamento al quale Salvini deve arrivare necessariamente con il Centrodestra unito. “E’ chiaro che la Lega non può spaccare la coalizione alla vigilia di un appuntamento elettorale, ma ad urne chiuse può aprirsi tutto un altro scenario”, ragiona un autorevole parlamentare M5S. Una strategia con una possibile variabile. Quella del Partito democratico, atteso il 21 aprile al delicato appuntamento dell’Assemblea nazionale per sciogliere l’intricata matassa della futura guida del Nazareno, ancorata alla resa dei conti in corso tra Matteo Renzi e la minoranza dem. “Sono in molti, tra i renziani, a non avere difficoltà a sostenere un Governo presieduto da Giorgetti”, conferma un parlamentare dem. Un possibile sbocco della crisi che, tuttavia, resta ancorato a due variabili. Primo: che il Pd esca dall’Aventino. Secondo: che Salvini tolga il veto sui dem. Scenario complicato.
Twitter: @Antonio_Pitoni