Sono tutte conservate a Civitavecchia, presso il Ce.T.L.I., ovvvero il Centro Tecnico Logistico Interforze. Parliamo di 13.600 armi chimiche “prodotte prima del 1946 e rinvenute successivamente sul territorio nazionale”. Sono dati, questi, che emergono dalla relazione presentata in questi giorni dal ministero degli Esteri e relativa allo “stato di esecuzione della convenzione sulle armi chimiche e sugli adempimenti effettuati dall’Italia”. Tutto nasce dopo la Convenzione di Parigi sulla “Proibizione dello Sviluppo, Produzione, Immagazzinaggio e Uso della Armi Chimiche e sulla loro Distruzione”, firmata da 130 Stati ed entrata in vigore nell’aprile 1997. La Convenzione ha portato alla nascita di un organo che vigila sulla sua applicazione: l’Opac (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche). Ebbene, l’Opac effettua periodicamente ispazioni, con lo scopo di accertare la progressiva distruzione degli arsenali esistenti. Anche in Italia.
E affinché il nostro Paese obbedisca agli impegni assunti con la Convenzione, presso la Farnesina è stata creata un’Autorità Nazionale incaricata di curare proprio i rapporti con l’Opac e di redigere annuali relazioni. E arriviamo al punto. Secondo quanto si legge nell’ultimo report e relativo all’anno 2017, l’Italia ancora possiede ben 13.600 armi chimiche. Tali armi, si legge ancora, “avrebbero dovuto essere eliminate , in base alla Dichiarazione Iniziale italiana […], entro il 2012”. Fa niente: siamo in ritardo di soli sei anni, d’altronde. E sebbene il termine ultimo sia stato poi abolito, il Consiglio Esecutivo dell’Opac ha comunque invitato il nostro Paese “a distruggere il prima possibile tutte le vecchie armi chimiche dichiarate”.
Ma come mai tali ritardi? La ragione sembrerebbe poggiare su una struttura certamente non all’altezza, dato che la stessa Autorità Nazionale sottolinea come “la prosecuzione dell’attività di distruzione […] potrà essere garantita per buona parte del materiale tuttora in giacenza solo attraverso l’adeguamento degli impianti del Centro, per cui è stata completata la progettazione preliminare”. Un adeguamento che, tuttavia, resta “urgente”. Eppure non versiamo pochi soldi per la distruzione delle armi chimiche rimanenti. Dalla relazione, infatti, emerge che dal 2009 (e fino al 2023) versiamo ben 1,2 milioni di euro per tale scopo. Un bene. A patto che le armi vengano poi effettivamente distrutte.
Tw: @CarmineGazzanni