Circa 100 milioni di euro. A tanto potrebbe arrivare con pochi e rapidi ritocchi, la sforbiciata alla spesa monstre da 1,5 miliardi di Camera (968 milioni) e Senato (altri 551). Intendiamoci, non che non si possa fare di più. Anzi. Ma con alcuni interventi immediati portare a casa una prima sforbiciata ai costi del Parlamento è tutt’altro che una missione impossibile.
Diamoci un taglio – In cima alla lista ci sono, neanche a dirlo, i vitalizi. La madre di tutti i privilegi costerà ai contribuenti italiani, nel 2018, 136,1 milioni a Montecitorio e altri 86,4 a Palazzo Madama. In tutto, 222,5 milioni, il 14,6% della spesa annua complessiva del Parlamento. Se gli Uffici di presidenza di Camera e Senato dessero seguito alla dichiarazione di guerra del Movimento 5 Stelle contro i trattamenti pensionistici degli ex parlamentari, il ricalcolo contributivo degli assegni in essere porterebbe in dote un taglio di circa 76 milioni l’anno. In pratica, un terzo della spesa complessiva per i vitalizi. Ma non è tutto. Nel mirino dei pentastellati ci sono pure i maxi stipendi degli alti dirigenti parlamentari. Il 31 dicembre scorso è scaduta la delibera che aveva imposto, per tre anni, il tetto di 240mila euro alle retribuzioni del personale di Camera e Senato. Reiterando la misura, bilanci alla mano, si potrebbero risparmiare circa 4,5 milioni a Montecitorio e 1,6 a Palazzo Madama. In tutto 6,1 milioni. Proprio quanto, da quest’anno, salirà la spesa per il personale per la cessazione della delibera del 2014.
Caro Parlamento – Altri risparmi potrebbero arrivare intervenendo sugli emolumenti dei parlamentari. Senza toccare le indennità – circa 10mila euro lordi al mese (più o meno 5mila euro netti) – ma solo i rimborsi. A cominciare da quelli per l’esercizio del mandato: adeguando la cifra mensile spettante a ciascun senatore (4.180 euro) a quella prevista per i deputati (3.690), a Palazzo Madama. Con un risparmio di 490 euro al mese per ciascuno dei 315 membri di Palazzo Madama. Un taglio di 1,9 milioni su base annua. Poi ci sono le spese di soggiorno, la cosiddetta diaria: altri 3.500 euro al mese per ogni parlamentare. Intascati anche dai residenti a Roma. Dal sito del Senato ne risultano 17, da quello della Camera il dato non è ricavabile, ma ipotizzando che siano più o meno il doppio, si potrebbe ipotizzare che circa 45 parlamentari vivano stabilmente nella capitale. Tagliando loro la diaria si risparmierebbero altri 1,9 milioni.
Onorevoli indennità – E non finisce qui. Se i presidenti delle 28 commissioni permanenti (14 per ciascun ramo del Parlamento) rinunciassero all’indennità di carica aggiuntiva (circa 26mila euro l’anno), dalla lista delle spese si potrebbero depennare, infatti, altri 728mila euro. La stessa cura si potrebbe prescrivere alle varie giunte e commissioni bicamerali e d’inchiesta. E, ovviamente agli Uffici di presidenza, dove le indennità – che costano circa 700mila euro l’anno – vanno dai 4.600 euro al mese del presidente ai 1.700 circa dei vice presidenti e dei questori, fino ai 1.200 dei segretari (i grillini hanno già rinunciato). Stando ai bilanci di previsione, eliminando tutte le indennità d’ufficio si depennerebbero dalla lista delle spese altri 2,2 milioni a Montecitorio e 1,7 a Palazzo Madama (3,9 milioni in tutto).
Capitolo utenze: tra acqua, gas, luce e telefono, Montecitorio spenderà quest’anno 5,7 milioni, ai quali vanno aggiunti altri 4,5 milioni del Senato. Il questore Riccardo Fraccaro stima di poter risparmiare alla Camera circa 500mila euro l’anno (solo nella fase iniziale) con un piano di efficientamento energetico. Più o meno quanto si potrebbe risparmiare anche nell’altro ramo del Parlamento. E che dire dei 2,3 milioni spesi al Senato per stampare gli atti parlamentari nell’era del digitale? Più un altro milione per le fotocopie? E degli altri 5,8 per attività similari della Camera? Importi decisamente alti, nell’era del digitale, tutt’altro che impossibili da sfoltire.