Proprio sul gong, il giorno prima dell’insediamento dei deputati della XVIII Legislatura e con le dimissioni ancora calde dell’ormai ex ministro Maurizio Martina, il Governo ha pensato di chiudere in bellezza, “scaricando” le multe europee da pagare per le quote latte direttamente sulle Regioni. È questa, infatti, la decisione del Consiglio dei ministri nella riunione di lunedì scorso. Facciamo un passo indietro. È il 2011 quado la Commissione europea condanna il nostro Paese a pagare una rettifica finanziaria forfettaria di 70.912.382,00 euro a causa di irregolarità nei controlli afferenti al regime delle quote latte, riscontrate nel regioni italiane Abruzzo, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Calabria, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta, relativamente alle annate 2004/2005, 2005/2006 e 2006/2007.
Da allora, però, non si è mossa una foglia. Nei confronti della decisione della Commissione europea è stato presentato ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, che, il 2 dicembre 2014, ha respinto il ricorso confermando la decisione della Commissione. Da allora, però, Martina ha preferito non proferire parola né emettere provvedimenti. Meglio non disturbare il can che dorme, verrebbe da pensare. E proprio sul gong arriva adesso il provvedimento, che prevede “di recuperare le somme dovute da ciascuna delle Regioni interessate mediante compensazione dagli importi concessi alle Regioni a titolo di aiuti europei, e, più nello specifico, sulle quote del Fondo di rotazione […] nell’ambito dei programmi finanziati dal Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale del periodo 2014/2020”. In pratica, 71 milioni di fondi Ue verranno ripresi da Roma per rigirarli direttamente a Bruxelles. Con la conseguenza, paradossale, che ancora ci ritroviamo a pagare i “danni” della stessa Lega che vorrebbe ora tornare a Palazzo Chigi.
Il quadro – Il regime delle quote latte nasce nel 1984, per limitare la produzione lattiero casearia europea nell’Ue, trasferendo la responsabilità della sovrapproduzione ai produttori e ai caseifici, dopo che, negli anni ‘70, la sovrapproduzione strutturale aveva fatto lievitare il costo dell’intervento pubblico a sostegno del settore. Le regole prevedono in sostanza che, se un Paese supera la propria quota annua, i singoli produttori che sforano vengano sottoposti a un prelievo monetario sulle eccedenze. La Commissione europea ha portato l’Italia in Corte di Giustizia al termine di una procedura d’infrazione, perché il nostro Paese non ha gestito in modo adeguato il recupero dei prelievi dovuti per la sovrapproduzione. La sentenza, arrivata a inizio anno, ha stabilito che l’Italia ha superato la quota nazionale ogni anno dal 1995 al 2009: lo Stato, cioè i contribuenti, hanno versato alla Commissione gli importi dovuti per il periodo in questione, cioè 2,3 miliardi di euro. Ma, malgrado le ripetute richieste, risulta “evidente” che le autorità italiane “non hanno preso le misure opportune per recuperare il dovuto dai singoli produttori e caseifici”. Per la Corte, si tratta di una “situazione iniqua nei confronti dei contribuenti italiani”, poiché il costo è ricaduto sulla collettività. La Commissione stima che, su 2,3 miliardi, ben 1,7 non siano ancora stati rimborsati dai singoli produttori che hanno materialmente commesso le violazioni. Una parte dell’importo sembra considerato perso o rientra in un piano a tappe di 14 anni, ma la Commissione stima che restino da recuperare ancora 1,3 miliardi. Che ora l’Italia dovrà recuperare se non vuole andare incontro ad un’altra sanzione.