Una squadra di Governo con 17 ministri e tre donne nei ruoli chiave: Luigi Di Maio li presenta al Salone delle fontane all’Eur e lo fa rivendicando una scelta che affonda, ricorda, in un’idea lanciata da Gianroberto Casaleggio nel 2014 in occasione delle elezioni Europee. Il candidato premier del M5s si mostra sicuro e lancia il primo affondo: “Qualcuno ci ha deriso per questa scelta di presentare prima del voto la squadra di Governo ma rideremo noi lunedì quando avremo il 40% e porteremo questa squadra al Governo”. Presenta i ministri uno a uno, li definisce ‘eccellenze’ e spiega che “non sono etichettabili come personalità M5s e dal 5 marzo saranno operativi” dice a dispetto della sua scaramanzia. Ribadisce che “non si tratta di un governo ombra ma di un Governo alla luce del sole”.
Le tre donne nei posti chiave sono: Paola Giannekatis al ministero dell’Interno, che subito dopo la manifestazione dovrà fare già la sua prima smentita della notizia di aver sostenuto in passato il Sì per il referendum costituzionale di Matteo Renzi. Altra donna, al ministero degli Esteri, è Emanuela Del Re: professoressa universitaria di sociologia politica e ‘testimone diretta di guerre e crisi sociali nel mondo’ così viene presentata. Mentre, alla Difesa c’è Elisabetta Trenta: ricercatrice in materia di difesa e sicurezza è stata tra le altre cose consigliere per l’Italia nella missione Leonte in ambito Unifill in Libano nel 2009 e ha partecipato ad attività militari e civili in Italia e all’estero su incarico del ministero della Difesa. A farla da padrone, nei discorsi della squadra degli aspiranti ministri pentastellati, ci sono le parole ‘sostenibilità’, inclusione, innovazione’. Ci sono le matricole, che sono la maggior parte, e preferiscono leggere un testo scritto, anche per stare nei tempi. Ma c’è chi decide di andare a braccio come l’aspirante ministro del Lavoro Pasquale Tridico, che va troppo per le lunghe e alla fine chiude ricordando la natìa Calabria e l’arretratezza di un Mezzogiorno sempre più dimenticato, per poi strappare il boato della platea col principale cavallo di battaglia grillino e cioè il reddito di cittadinanza.
Ai ‘timidi’ va ascritta la Giannetakis, aspirante futura inquilina del Viminale che viene definita “tosta” da Di Maio che la introduce alla platea ma che mostra una certa emozione, pur chiudendo in un crescendo nel quale sostiene la necessità di “far rivivere i nostri colori”. Ma ci sono anche i ‘navigati’, i politici nonché fidatissimi di Di Maio come Riccardo Fraccaro (al ministero per i rapporti con il Parlamento, gli affari regionali e la democrazia diretta) e Alfonso Bonafede (alla Giustizia), ormai forgiati da un mandato parlamentare di 5 anni e perfettamente a loro agio nella veste di papabili ministri. Il discorso più politico, non a caso, è quello di Bonafede che tratteggia il programma sulla giustizia per la prossima legislatura ed esalta il pubblico quando tuona sulla certezza della pena e sulla riforma della prescrizione, che “non ha nulla a che vedere con la ragionevole durata del processo”. Oltre a tirare in ballo un altro cavallo di battaglia dei 5 stelle e cioè l’agente provocatore nella pubblica amministrazione.
E c’è anche chi, pur non avendo esperienza politica, manifesta qualità oratorie promettenti e sembra già scalpitare per un futuro da leader. Tra questi spicca di certo Lorenzo Fioramonti, designato come ministro dello Sviluppo economico, che parla dei grillini come dei suoi “migliori amici”, tratteggia un programma ambizioso di lotta alle energie fossili e alle vecchie industrie italiane e si permette addirittura una punta di sarcasmo a proposito della scelta del gruppo dirigente pentastellato di farlo parlare in inglese “come se la stampa straniera non conoscesse l’italiano”. Parole che comunque suscitano l’applauso della sala.
Ambizioso, anche se più sobrio, Andrea Roventini (Economia e delle finanze) che preconizza una “svolta epocale” per il Mef verso la ricerca dell’innovazione e silura la flat tax di Berlusconi e Salvini come una “fake tax che non funziona”. Parlano con un profilo più basso, almeno rispetto a Fioramonti, Alessandra Pesce e Mauro Coltorti, rispettivamente aspiranti ministro delle Politiche agricole e dei Trasporti, anche se il secondo incassa l’applauso sulla promessa di abbandono delle Grandi Opere come il ponte di Messina e delle “cattedrali nel deserto”. Mentre Salvatore Giuliano (Istruzione) dopo aver giocato su un’omonimia non facile con un discusso malavitoso siciliano dell’immediato dopoguerra (“ma vi garantisco che sono un bravo ragazzo”), spende buona parte del proprio intervento per chiarire che a lui la Buona scuola non piace. “Non ho scritto nemmeno una parola”, giura, chiarendo di non essere amico di Matteo Renzi: “L’ho visto tre volte e ci avrò parlato tre minuti. Io ho una concezione diversa dell’amicizia”.
Elisabetta Trenta, invece, è già perfettamente calata nella parte di ministro della Difesa e chiude il proprio intervento con un perentorio “viva l’Italia” che infiamma i presenti, precedentemente blanditi predicendo un “nostro governo a 5 stelle”. Abile nella captatio benevolentiae anche Giuseppe Conte, designato alla PA, deburocratizzazione e meritocrazia, che cita Stefano Rodotà tra gli applausi e si rivolge direttamente al popolo grillino, dicendo: “Non vi ho votato, non ero nemmeno un vostro simpatizzante, ma mi avete detto ‘non fa niente, noi vogliamo un indipendente'”. Ma se si dovesse stilare una classifica dei più amati dai grillini, oggi pomeriggio la medaglia d’oro andrebbe di certo all’olimpionico Domenico Fioravanti, il vero vip della squadra grillina che consente anche a Di Maio di rinfocolare la polemica con l’attuale ministro dello Sport Luca Lotti: “C’è una bella differenza rispetto a quello precedente…”. Fioravanti in modo molto umile promette fedeltà alla comunità pentastellata e di applicare l’abnegazione dello sportivo alla sua missione politica per ridare centralità agli atleti nella gestione dello sport, che è soprattutto “sport di base”.